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Qual è l’impatto psicologico del tumore alla prostata?

Una malattia che si chiama tumore ha sempre un effetto traumatico; quando poi si tratta di una diagnosi di tumore alla prostata non si parla più solo di una malattia del corpo, ma colpisce l’uomo nella sua identità maschile più intima.

La persona si trova a dover affrontare da un lato la malattia e la scelta dei trattamenti più idonei da un punto di vista medico e dall’altro a dovere gestire le conseguenze che questi provocano in diversi aspetti: quello della percezione di sé sia dal un punto di vista psicologico che fisico e nella vita di coppia, e quello sociale e relazionale.

Questo è dovuto alle difficoltà emotive che accompagnano gli effetti collaterali di alcuni trattamenti, come i disturbi della sfera sessuale, l’incontinenza o una femminilizzazione del corpo dovuta alla terapia ormonale. E a volte si aggiunge anche la sensazione di non essere più adeguati e di sentirsi invecchiati di colpo.

Curare il tumore alla prostata significa prendersi cura della persona a tutto tondo, aiutarla e sostenerla nel percorso di cura e questo è possibile grazie al lavoro di un team multidisciplinare con diverse figure specialistiche: medico oncologo, radiologo, chirurgo, urologo e psico-oncologo.

Le opzioni di trattamento sono diverse: chirurgia, ormonoterapia, radioterapia e chemioterapia. Anche la “Sorveglianza attiva” è un’ipotesi, e consiste nel monitorare la malattia con un programma molto preciso di visite ed esami, inclusa la biopsia, e senza dover assumere farmaci specifici o essere sottoposti a un intervento. Questa strategia viene presa in considerazione solo in alcune forme di cancro poco aggressive che tendono a rimanere indolenti. Ma, se da un lato non causa i problemi fisici dati dalle terapie, la malattia stessa può comunque avere un effetto psicologico impattante sul paziente. Anche nel caso della “Sorveglianza attiva”, si deve sopportare il peso degli effetti psicologici della “convivenza” con un tumore, con il conseguente possibile stato di ansia e stress.

Lo specialista valuta l’obiettivo di salute e considera a parità di efficacia le terapie possibili e con il paziente si devono razionalmente considerare i costi e i benefici degli effetti che la terapia porta con sé. L’assunzione di responsabilità, dover scegliere la propria terapia, crea disorientamento, non è sicuramente una scelta facile, e idealmente si vorrebbe che il medico decidesse cosa si deve fare. Eppure arrivare a una scelta consapevole e condivisa con il paziente è garanzia di un maggior adattamento all’esperienza di malattia.

Quando la terapia incide sulla funzione sessuale e sulla funzionalità erettile viene messa in discussione la sfera più intima maschile, la virilità della persona e l’essere uomo nella parte più profonda di sé. La potenza maschile viene vissuta anche attraverso la possibilità di avere un’erezione, quando non si realizza provoca un impatto sull’uomo e sull’essere riconosciuto come tale. All’interno della coppia la figura dell’uomo viene messa in discussione, e spesso per evitare di mettere in difficoltà il partner si finisce per non avere rapporti, con il conseguente allontanamento dal proprio partner.

Esistono presidi farmacologici che possono aiutare, ma la riabilitazione sessuologica più efficace deve tener conto sia dell’impatto fisico che dell’impatto psicologico e offrire alla persona e alla coppia ove esiste, la possibilità di fare un percorso che aiuti a ricostruire un senso di sé efficace e una buona intimità di coppia.

Il percorso per far fronte al cambiamento e per riappropriarsi delle proprie abitudini è possibile, ma serve tempo, capacità di adattamento e comunicazione con il partner.

referenza: https://www.nature.com/articles/pcan201166

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