Testosterone e prostata: nemici o amici?

Storicamente, il testosterone è sempre stato considerato un ormone pericoloso per la prostata. Infatti, per molto tempo si è pensato che fosse uno dei responsabili del processo che sta alla base di patologie come l’iperplasia prostatica benigna e il tumore alla prostata.

Il tessuto prostatico è certamente responsivo all’azione degli ormoni androgeni, ma il ruolo di questi sullo sviluppo e progressione di malattie a carico della prostata è ancora tema di dibattito.

Una delle ragioni per cui il ruolo del testosterone di “nemico” della prostata sia stato rivisto sta principalmente nel fatto che a partire dai 40 anni inizia un fisiologico calo lento e graduale della sua produzione, proprio quando inizia ad aumentare l’incidenza delle principali problematiche che colpiscono questo organo.

Il tumore alla prostata è noto per essere una malattia ormono-dipendente, tanto è vero che la terapia ormonale che ha l’obiettivo di ridurre il livello di testosterone, o di bloccarne la sua azione, è una delle terapie che viene utilizzata nelle forme aggressive, avanzate, non confinate, metastatiche, di questa patologia.

Al contrario, l’ormonoterapia non risulta utile per il trattamento di malattia neoplastica in fase precoce.

Aumentare il testosterone come terapia per la prostata

Se nei pazienti con un tumore metastatico la riduzione dei livelli di testosterone permette di controllare la malattia, nei pazienti con tumore operabile la somministrazione di questo ormone potrebbe, al contrario, rappresentare un’opportunità terapeutica.

Che gli androgeni stimolino la crescita del tumore alla prostata è un dato scientifico. Tuttavia, non ci sono dati chiari sul fatto che alti livelli di testosterone endogeno possano promuovere lo sviluppo di questa patologia negli uomini.

Similmente, non è chiaro se la somministrazione di testosterone esogeno abbia dei rischi nei pazienti con tumore alla prostata.

La produzione fisiologica di testosterone si riduce gradualmente con l’età, oppure può essere compromessa in quegli uomini affetti da ipogonadismo.

L’ipogonadismo è una situazione patologica in cui la carenza di androgeni è associata allo sviluppo di diversi sintomi, tra cui disturbi metabolici, stanchezza e perdita di energia, diminuzione della libido, disfunzione erettile, ecc.

Tuttavia, anche se il trattamento sostitutivo con testosterone può portare notevoli benefici ad un uomo che soffre di ipogonadismo, le preoccupazioni di potenziali effetti collaterali a carico della prostata ne hanno fortemente limitato l’utilizzo.

Una meta-analisi della letteratura scientifica ha evidenziato che meno del 2% dei pazienti con tumore alla prostata operati e trattati con testosterone andava incontro a recidiva biochimica (fonte).

Pazienti in sorveglianza attiva trattati con testosterone per ipogonadismo hanno mostrato una progressione di malattia simile ai pazienti non trattati (fonte1; fonte2).

Gli studi attualmente disponibili non sono ancora numerosi, ma suggeriscono sicuramente che i pazienti in sorveglianza attiva possano beneficiare del trattamento ormonale per ipogonadismo.

Sulla base di questo, nasce quindi il dubbio se anche i pazienti a cui è stata asportata la prostata possano ricevere un trattamento con testosterone per trattare la disfunzione erettile, senza aumentare il rischio di sviluppare una recidiva.

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