Perché non esiste un vero screening per il tumore alla prostata?

Parlare di “screening” per il tumore alla prostata” non è completamente corretto in quanto non esiste ad oggi un vero e proprio percorso organizzato di visite ed esami per riuscire ad individuare precocemente l’insorgenza della malattia.

Il test di laboratorio che viene considerato il pilastro della prevenzione del tumore alla prostata, ovvero il test del PSA, è stato messo in forte discussione negli ultimi anno, dividendo medici e specialisti tra chi lo considera ancora indispensabile e chi è convinto che porti più danni che benefici, tra cui una grande confusione negli uomini.

La domanda che, infatti, divide da anni gli esperti di salute maschile è: tutti gli uomini, anche senza sintomi o storia familiare di tumore alla prostata, dovrebbero sottoporsi ad un test del PSA?

Chi sostiene l’importanza dei test del PSA di routine lo ritiene il miglior strumento a disposizione dei medici per individuare un tumore alla prostata precocemente, quando è più curabile.

Dall’altro lato, invece, ci soni medici che lo ritengono un esame che spinge molti uomini con una diagnosi di tumore non aggressivo a scegliere trattamenti radicali che possono causare impotenza e incontinenza, nonostante sia ampiamente dimostrato che circa l’80% dei tumori a basso rischio non saranno mai pericolosi per la vita. In questi casi la sorveglianza attiva potrebbe rappresentare una valida alternativa all’intervento.

Il National Comprehensive Cancer Network (NCCN), un’organizzazione senza scopo di lucro composta da 32 centri oncologici negli Stati Uniti, dopo un’attenta revisione della letteratura medica, ad oggi raccomanda che la maggior parte degli uomini con tumore alla prostata a basso rischio sia gestita attraverso la sorveglianza attiva come prima opzione di trattamento, preferendola alla chirurgia e alla radioterapia.

Le linee guida aggiornate da NCCN hanno anche ribadito la posizione contro i test di routine del PSA sulla popolazione generale a causa dei suoi limiti ben documentati.

Alcuni oncologi affermano addirittura che il dibattito sul PSA abbia messo in ombra il vero problema: ogni caso richiede un approccio personalizzato e incentrato sul singolo paziente.

Gli uomini dovrebbero prima di tutto aiutare i propri medici a capire se e quando sottoporsi al test del PSA, in base alla loro composizione genetica e biologica, all’età, alla storia familiare, alla salute generale, allo stile di vita, all’origine etnica e ad altri fattori. Qualsiasi percorso di cura del cancro dovrebbe essere affrontato in un modo simile, incentrato sul paziente.

Test PSA: pro e contro

Il test del PSA è stato introdotto nel 1994 per rilevare la possibile presenza di tumore alla prostata. Un livello di PSA inferiore a 4 nanogrammi per millilitro di sangue veniva storicamente considerato normale; quando raggiungeva un valore di 6 i medici avrebbero suggerito una biopsia per verificare la presenza di un tumore.

Non c’è dubbio che il test del PSA abbia aiutato a identificare molti casi di cancro che altrimenti non sarebbero stati trovati nelle fasi iniziali, ma anche quando il test rivela un tumore, non indica se si tratta di una forma aggressiva che necessita un trattamento immediato o se è un tumore a crescita lenta e a basso rischio poco pericoloso per la vita del paziente.

In effetti, studi autoptici hanno evidenziato che oltre il 30% degli uomini sopra i 70 anni non sa di avere un tumore alla prostata e muore per un’altra causa.

Tutti questi dubbi sul test del PSA hanno portato a un ampio dibattito su chi dovrebbe farlo, a quale età e in che modo medici e pazienti dovrebbero comportarsi in presenza di un livello elevato.

Ed è per questo che, ad oggi, manca ancora un percorso di screening organizzato per il tumore alla prostata.

Il test del PSA ha dimostrato di avere molti limiti nell’identificare correttamente uomini a rischio di tumore alla prostata da uomini completamente sani.
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