La prostata è un organo che può essere colpito da diverse malattie di natura benigna e maligna. Una corretta diagnosi aumenta l’efficacia di ogni terapia.

Nonostante le evidenze per altri tipi di patologie, sia l’American Cancer Society sia la Prostate Cancer Foundation non indicano l’alcol tra i fattori di rischio noti per il tumore alla prostata. Non è neanche chiaro se l’assunzione di alcol sia associata al rischio di sviluppare una forma di tumore alla prostata aggressivo (es metastatico).

Da una revisione sistematica pubblicata nel 2016 sembrava emergere che gli uomini che consumano alcolici potrebbero avere un rischio maggiore di sviluppare la malattia rispetto a quelli che si astengono, con il rischio che aumenta proporzionalmente all’assunzione di alcol. E’ tuttavia da sottolineare che lo studio si basa su autodichiarazioni sul proprio consumo di alcol, che potrebbero quindi non essere completamente affidabili.

I risultati di uno studio pubblicato nel 2018 suggeriscono un possibile legame tra il consumo di alcol in giovane età e il rischio di sviluppare un tumore alla prostata nell’arco della vita. Anche questo studio, seppure fornisca dati molto importanti, presenta alcuni limiti, come ad esempio la dipendenza da informazioni auto-riportate, che potrebbero essere soggette a errore. Inoltre, a questo si aggiunge che i forti bevitori all’interno dello studio erano spesso anche forti fumatori e che chi ha dichiarato di aver consumato molto alcol precocemente nella vita in genere ha continuato a bere in seguito.

Per cercare una risposta a questo quesito un gruppo di ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health, del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston, e della University of California di San Francisco ha indagato se l’assunzione di alcol tra gli uomini a rischio di tumore alla prostata fosse associata alla diagnosi di una malattia aggressiva e se il consumo di alcol tra gli uomini con tumore prostatico non metastatico fosse associata allo sviluppo di metastasi e ad un aumento della mortalità.

In questo studio prospettico sono stati coinvolti 47.568 uomini che non avevano mai ricevuto una diagnosi di tumore alla prostata senza una diagnosi di cancro, monitorati dal 1986 al 2012 dallo Health Professionals Follow-Up Study.

Di questi uomini, 5.182 hanno ricevuto durante la durata dello studio una diagnosi di tumore prostatico non metastatico durante il follow-up e su di loro è stata esaminata l’associazione tra l’aggressività della malattia e la mortalità con il consumo di alcol in generale, consumo di vino rosso e bianco, birra e liquore.

E’ emerso che gli uomini bevitori avevano un rischio di sviluppare un tumore alla prostata mortale leggermente inferiore rispetto agli astemi.

In particolare il rischio più basso di morte per tumore alla prostata è stato osservato negli uomini che consumavano una quantità di alcol totale tra 15 e 30 g/die, principalmente tramite l’assunzione di vino.

Ma qualsiasi vino fa bene contro il tumore alla prostata?

C’è vino e vino. E noi italiani lo sappiamo bene.

Partendo da queste evidenze sono stati condotti ulteriori studi per cercare di determinare se effettivamente il consumo di vino avesse un ruolo protettivo contro la progressione di un tumore alla prostata, ma soprattutto per cercare di capire se una qualità di vino avesse più benefici di altre.

Una meta-analisi ha curiosamente osservato come il consumo moderato di vino rosso fosse associato ad un minore rischio di sviluppare un tumore alla prostata, mentre il consumo moderato di vino bianco, al contrario, avesse l’effetto opposto.

Ma perché il vino rosso?

Non c’è una risposta chiara, ma gran parte dei “sospetti” si concentrano su alcune sostanze chimiche assenti in altre bevande alcoliche, come vari flavonoidi e il resveratrolo. Questi componenti hanno proprietà antiossidanti e alcuni sembrano controbilanciare gli androgeni, gli ormoni maschili che stimolano la crescita del tumore alla prostata.

Da alcuni esperimenti di laboratorio, i flavonoidi riducono la produzione di PSA da parte delle cellule di tumore alla prostata, suggerendo una diminuzione dell’attività cellulare, e il resveratrolo smorza l’attività dei geni che promuovono la crescita cellulare e in alcuni casi induce la morte delle cellule tumorali.

Prima di arrivare a conclusioni affrettate, va detto che servono ulteriori ricerche per determinare con certezza la correlazione tra consumo di alcol e lo sviluppo di tumore alla prostata, ma ciò che si può evincere è che per le persone affette da questa patologia bere con moderazione è generalmente sicuro.

Bisogna comunque ricordare che l’alcol può interagire con alcuni farmaci quindi è sempre meglio consultare un medico per verificare che bere alcolici non sia dannoso.

Più in generale, è bene però sottolineare come mettere in conto alcuni cambiamenti nello stile di vita possa aiutare una persona a vivere bene durante le terapie per il tumore alla prostata. Questi cambiamenti possono includere l’aumentare l’attività fisica e il seguire una dieta salutare.

Alcuni grandi ospedali in Italia stanno seguendo la scia di quello che già da tempo avviene all’estero e si stanno dotando delle cosiddette Prostate Cancer Unit: si tratta di team di specialisti con diverse competenze nella gestione del tumore alla prostata, che lavorano in sinergia per curare il paziente, analizzano e monitorando la malattia da diversi punti di vista e a diversi livelli, fornendo in un unico centro tutto quello che potrebbe servire al percorso diagnostico e terapeutico, dalla consulenza al supporto psicologico, dalla prevenzione alla diagnosi, dalla gestione delle terapie alla riabilitazione.

Questa soluzione offre al paziente le migliori opportunità di ricevere le cure più appropriate e trattamenti di eccellenza. Inoltre, la collaborazione di diverse figure cliniche nella gestione della patologia diventa funzionale alla prevenzione e soluzione delle principali complicanze che potrebbero verificarsi, siano esse fisiche, emotive o psicologiche.

La Prostate Cancer Unit diventa così un punto di riferimento unico e centrale per il paziente, migliorando anche la sua esperienza di cura, che verrà modulata sulla base delle sue necessità individuali.
Per funzionare in maniera ottimale, questi team devono essere strutturati e organizzati con precisione e rappresentare il luogo in cui diversi specialisti della stessa patologia lavorino in sinergia, condividendo professionalità, procedure cliniche e pratiche di successo, consultandosi tra loro e fornendo assistenza al paziente a 360°.

La Prostate Cancer Unit dovrebbe essere coordinata da un Direttore clinico, a cui risponderanno tutti i clinici del team.
Il gruppo principale della Unit dovrebbe comprendere:

  • Uropatologi, responsabili della gestione della patologia;
  • Urologi, specializzati nella diagnosi della malattia e nel suo trattamento;
  • Oncologi Radioterapisti, esperti di radioterapia del tumore alla prostata;
  • Oncologi Medici con specializzazione in malattie della prostata;
  • Infermieri preparati nell’assistenza al paziente in ogni fase della malattia.

Questo nucleo medico verrà sostenuto da un secondo gruppo di professionisti a supporto, non specializzati nel tumore alla prostata, ma comunque indispensabili per fornire un servizio completo ed efficiente:

  • Radiologi, esperti nell’utilizzo delle varie tecnologie radiologiche;
  • Fisici medici, specializzati in radioterapia esterna e brachiterapia;
  • Tecnologi per la radioterapia;
  • Fisioterapisti, che supportino il paziente nella riabilitazione e riducano l’impatto delle complicazioni postoperatorie;
  • Specialisti in cure palliative;
  • Psicologi, per aiutare il paziente nella gestione delle emozioni dopo la diagnosi di tumore e per offrirgli consigli, ascolto e seguirlo nel percorso terapeutico;
  • Andrologi e Sessuologi, per fornire assistenza e consulenza nell’ambito delle funzioni sessuali;
  • Geriatri, specializzati nella cura delle persone anziane;
  • Associazioni di pazienti, per aiutare i malati e informarli sui loro diritti.

Una simile organizzazione è in grado di offrire una vasta gamma di servizi al paziente, e, soprattutto, contribuisce a creare un maggiore dialogo tra professionisti diversi, che possono così collaborare in modo più costruttivo per raggiungere obiettivi comuni.

Istituire una Prostate Cancer Unit spesso richiede un complessa pianificazione e riorganizzazione dei servizi per ospedali e centri di cura, ma, nello stesso tempo, garantisce una maggiore focalizzazione sulla patologia specifica, favorisce il lavoro di squadra, riduce i tempi necessari per la gestione (il paziente viene seguito contemporaneamente da più specialisti e non deve ricorrere a diversi consulti medici), semplifica e snellisce il percorso di cura. Tutto ciò gioverebbe non solo al paziente, ma anche alle strutture cliniche.

Tra l’altro, il fatto di poter consultare contemporaneamente diversi specialisti garantirebbe al paziente una maggiore consapevolezza delle diverse opzioni terapeutiche e una maggiore conoscenza della patologia.

La possibilità di parlare con professionisti molto diversi tra loro per formazione e per carattere faciliterebbe, inoltre, il dialogo e la propensione del malato a riferire le proprie ansie, i propri disturbi e gli effetti collaterali dei vari trattamenti, soprattutto nel caso del cancro alla prostata, che coinvolge anche dimensioni molto private come la sessualità, di cui molto spesso i pazienti rifiutano di parlare apertamente.

Che si tratti di un approccio monodisciplinare piuttosto che multidisciplinare alla cura di questa patologia, è fondamentale che il percorso di cura venga tarato sulle esigenze del singolo paziente e che egli sia informato sulle diverse opzioni a sua disposizione e possa sentirsi libero di consultare lo specialista per scegliere consapevolmente a quali trattamenti sottoporsi.

Per avere più informazioni riguardo alle Prostate Cancer Units in Europa: https://www.prostatecancerunits.org/

Una malattia che si chiama tumore ha sempre un effetto traumatico; quando poi si tratta di una diagnosi di tumore alla prostata non si parla più solo di una malattia del corpo, ma colpisce l’uomo nella sua identità maschile più intima.

La persona si trova a dover affrontare da un lato la malattia e la scelta dei trattamenti più idonei da un punto di vista medico e dall’altro a dovere gestire le conseguenze che questi provocano in diversi aspetti: quello della percezione di sé sia dal un punto di vista psicologico che fisico e nella vita di coppia, e quello sociale e relazionale.

Questo è dovuto alle difficoltà emotive che accompagnano gli effetti collaterali di alcuni trattamenti, come i disturbi della sfera sessuale, l’incontinenza o una femminilizzazione del corpo dovuta alla terapia ormonale. E a volte si aggiunge anche la sensazione di non essere più adeguati e di sentirsi invecchiati di colpo.

Curare il tumore alla prostata significa prendersi cura della persona a tutto tondo, aiutarla e sostenerla nel percorso di cura e questo è possibile grazie al lavoro di un team multidisciplinare con diverse figure specialistiche: medico oncologo, radiologo, chirurgo, urologo e psico-oncologo.

Le opzioni di trattamento sono diverse: chirurgia, ormonoterapia, radioterapia e chemioterapia. Anche la “Sorveglianza attiva” è un’ipotesi, e consiste nel monitorare la malattia con un programma molto preciso di visite ed esami, inclusa la biopsia, e senza dover assumere farmaci specifici o essere sottoposti a un intervento. Questa strategia viene presa in considerazione solo in alcune forme di cancro poco aggressive che tendono a rimanere indolenti. Ma, se da un lato non causa i problemi fisici dati dalle terapie, la malattia stessa può comunque avere un effetto psicologico impattante sul paziente. Anche nel caso della “Sorveglianza attiva”, si deve sopportare il peso degli effetti psicologici della “convivenza” con un tumore, con il conseguente possibile stato di ansia e stress.

Lo specialista valuta l’obiettivo di salute e considera a parità di efficacia le terapie possibili e con il paziente si devono razionalmente considerare i costi e i benefici degli effetti che la terapia porta con sé. L’assunzione di responsabilità, dover scegliere la propria terapia, crea disorientamento, non è sicuramente una scelta facile, e idealmente si vorrebbe che il medico decidesse cosa si deve fare. Eppure arrivare a una scelta consapevole e condivisa con il paziente è garanzia di un maggior adattamento all’esperienza di malattia.

Quando la terapia incide sulla funzione sessuale e sulla funzionalità erettile viene messa in discussione la sfera più intima maschile, la virilità della persona e l’essere uomo nella parte più profonda di sé. La potenza maschile viene vissuta anche attraverso la possibilità di avere un’erezione, quando non si realizza provoca un impatto sull’uomo e sull’essere riconosciuto come tale. All’interno della coppia la figura dell’uomo viene messa in discussione, e spesso per evitare di mettere in difficoltà il partner si finisce per non avere rapporti, con il conseguente allontanamento dal proprio partner.

Esistono presidi farmacologici che possono aiutare, ma la riabilitazione sessuologica più efficace deve tener conto sia dell’impatto fisico che dell’impatto psicologico e offrire alla persona e alla coppia ove esiste, la possibilità di fare un percorso che aiuti a ricostruire un senso di sé efficace e una buona intimità di coppia.

Il percorso per far fronte al cambiamento e per riappropriarsi delle proprie abitudini è possibile, ma serve tempo, capacità di adattamento e comunicazione con il partner.

referenza: https://www.nature.com/articles/pcan201166

Che cosa si intende per dolore oncologico?

Molti pazienti affetti da malattie oncologiche avvertono delle sensazioni di fastidio o dolore. Man mano che il tumore avanza questi sintomi possono aumentare interessando la maggior parte dei soggetti malati.

Tuttavia, anche per tumori che colpiscono lo stesso organo o tessuto non ci sono delle indicazioni su dove verrà percepito il dolore e quanto sarà intenso. Subentra inoltre il fatto che ognuno di noi ha una soglia del dolore diversa. Risulta quindi difficile associare un determinato livello di dolore allo stadio di avanzamento di un tumore.

Ma da cosa dipende il dolore provocato dalla presenza di un tumore?

Tralasciando le conseguenze di eventuali esami diagnostici (es. biopsia) o trattamenti, il dolore è spesso dovuto alla pressione che il tumore genera sugli altri organi o tessuti.

Il tumore è una massa che cresce e si espande, fregandosene di quello che ha intorno. Gli altri tessuti possono sopportare una leggera pressione e adattarsi di conseguenza, ma fino ad un certo punto, finché la pressione compromette la funzione di un organo oppure preme su di un nervo. In quest’ultimo caso è possibile avvertire il dolore anche a distanza dal sito in cui si sta sviluppando il tumore.

In altri casi, quando i tumori avanzano possono generare delle metastasi che molto spesso si localizzano a livello osseo. Queste metastasi iniziano a “mangiarsi” l’osso rendendolo più debole e fragile e quindi sviluppando sensazioni di dolore.

La frequenza del dolore segue solitamente l’andamento della malattia. Da un dolore acuto e intermittente, che va e viene, si passa col tempo ad un dolore cronico che persiste nel tempo. Al contrario, l’intensità non è sempre correlata allo stadio. Come detto molto dipende dalla soggettività e dal punto in cui avviene la pressione del tumore, se è una zona ricca di fibre nervose o meno.

Il dolore oncologico è una situazione così frequente che la terapia del dolore accompagna le terapie contro il tumore stesso.

fonti: https://www.cancer.org/treatment/treatments-and-side-effects/physical-side-effects/pain/facts-about-cancer-pain.html

La scelta della terapia del tumore della prostata varia a seconda dell’estensione e dell’aggressività della malattia, ed è fortemente condizionata sia dalla classe di rischio (rischio di mortalità e di progressione della malattia basato su stadio, tipo istologico e PSA) sia dallo stato del paziente (età, sintomi, presenza di malattie concomitanti, salute in generale) e dalle sue preferenze e aspettative.

Generalmente, nei casi di tumore a basso rischio, si può decidere di optare per una osservazione o monitoraggio della malattia rimandando un eventuale trattamento; quando il tumore è a rischio elevato o sono già presenti metastasi ad altri organi, la scelta passa ad una terapia attiva tra chirurgia, radioterapia, terapia ormonale, o chemioterapia.

Sorveglianza attiva

Nei casi di tumore alla prostata in fase precoce, a basso rischio di progressione, con una crescita lenta e in assenza di sintomi, si può procedere con l’osservazione dell’evoluzione del tumore senza effettuare alcuna terapia. Se nel tempo dovessero emergere dei segnali di una progressione del tumore, si passerà ad una terapia attiva.

La Sorveglianza Attiva richiede un monitoraggio della progressione del tumore con esami del sangue, misurazioni del PSA nel tempo, esplorazione digitale della prostata e biopsie ripetute.

I vantaggi sono, ovviamente, l’assenza di effetti collaterali delle terapie e nessun cambiamento importante della vita quotidiana.

Di contro troviamo possibili complicanze dovute alle biopsie di controllo e lo sviluppo di stati d’ansia per il doversi sottoporre periodicamente a controlli e per il dubbio che il tumore possa crescere.

Terapia chirurgica: prostatectomia radicale

La prostatectomia radicale è la rimozione chirurgica dell’intera ghiandola prostatica, che può essere associata in alcuni casi all’asportazione dei linfonodi della regione vicina al tumore. E’ l’approccio terapeutico radicale più utilizzato, in quanto la prostata non rappresenta un organi vitale, e può essere effettuata sia quando il tumore è localizzato alla prostata sia in uno stadio più avanzato.

L’intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (chirurgia “open”), in laparoscopia e chirurgia robotica. Quest’ultima rappresenta la tecnica più avanzata attualmente in uso (disponibile in più di 100 centri in Italia) che grazie alla sua precisione permette una riduzione dei tassi di complicanze, una rapida ripresa delle attività sociali e lavorative molto precoce ed una buona qualità di vita.

Il vantaggio di questo approccio è la risoluzione, in molti casi, della malattia.

A fronte di questo esistono diversi aspetti negativi, quali il rischio molto alto di disfunzione erettile e di incontinenza, il rischio di decesso correlato all’intervento (seppure basso), la sterilità in seguito all’operazione e il rischio di sviluppare una malattia recidiva.

Radioterapia

La radioterapia può essere effettuata in regime ambulatoriale (radioterapia a fasci esterni) oppure attraverso una metodica chiamata brachiterapia in cui la sorgente radioattiva viene impiantata direttamente all’interno della prostata.
Questo tipo di trattamento può essere utilizzato sia dopo l’intervento chirurgico quando vi sia il sospetto di una futura ricomparsa locale della malattia (radioterapia adiuvante) sia in seguito alla rapida crescita del PSA (radioterapia di salvataggio). 
La radioterapia può inoltre essere utilizzata con intento palliativo per ridurre i sintomi nella malattia localmente avanzata o metastatica.

Nella radioterapia a fasci esterni il paziente viene irradiato esternamente (appunto) e viene effettuata in ospedale con brevi sedute giornaliere, per un periodo di 1-2 mesi. Questo tipo di trattamento può causare dolori durante la minzione, disfunzione erettile, diarrea e dolore durante la defecazione, ma raramente problemi di incontinenza.

La brachiterapia è un tipo di radioterapia a cui si può ricorrere nei casi di tumori in stadio precoce e localizzato che permette di concentrare le radiazioni nella zona del tumore e ridurre il danno provocato agli altri tessuti. Rappresenta un’approccio più “soft” rispetto alla radioterapia a fasci esterni, ma comporta comunque un intervento chirurgico (mininvasivo) e il rischio di insorgenza di disturbi urinari superiori. La disfunzione erettile e meno frequente rispetto alle altre tecniche, ma è comunque presente.

Terapia ormonale

La terapia ormonale ha l’obiettivo di ridurre il livello di testosterone, l’ormone maschile che dà carburante alla crescita delle cellule del tumore della prostata, o di bloccarne la sua azione.

L’ormonoterapia può essere usata in combinazione con la radioterapia, per aumentarne il successo, o da sola nei tumori alla prostata sintomatici in stadio localmente avanzato che non possono essere sottoposti a trattamento definitivo o nella malattia metastatica.

Al contrario, l’ormonoterapia non risulta utile per il trattamento delle malattie in fase precoce. Può causare diversi effetti collaterali (dolore e gonfiore delle mammelle, vampate di calore, incapacità di avere l’erezione e diminuzione del desiderio sessuale); raramente può causare diarrea o problemi intestinali

L’ormonoterapia presenta diversi effetti collaterali, come dolore, gonfiore, vampate di calore, calo del desiderio sessuale e problemi di erezione.

A lungo andare può comportare aumento di peso con perdita di massa muscolare e femminilizzazione dell’aspetto del corpo, osteoporosi e stanchezza.

Ormonoteapia di nuova generazione

Recentemente sono stati immessi nella pratica clinica nuovi farmaci definiti “ormonali” che agiscono bloccando a vari livelli e in maniera profonda l’azione del testosterone. Questi farmaci sono al momento utilizzati nella malattia metastatica, nei casi in cui l’ormonoterapia tradizionale o la chemioterapia non riescono più a controllare il tumore.

Questo nuovo approccio terapeutico ha il vantaggio di poter essere effettuato a domicilio richiedendo pochi passaggi in ospedale (una volta al mese, circa).

Chemioterapia

Se il tumore alla prostata si è diffuso ad altri organi e tessuti e non risponde più al trattamento ormonale si ricorre alla chemioterapia con l’obiettivo di ridurre le dimensioni della massa tumorale e alleviarne i sintomi.

La chemioterapia interferisce con la moltiplicazione delle cellule tumorali colpendo però anche la moltiplicazione delle cellule sane. Questo comporta importanti effetti collaterali che hanno un discreto impatto sulla qualità di vita dei pazienti (perdita di capelli, perdita di appetito, nausea e vomito, stanchezza e infezioni).

Terapie in fase sperimentale

Alcune nuove terapie, che devono ancora essere considerate sperimentali, possono essere utilizzate in particolari situazioni di tumore prostatico.

Crioterapia

E’ una tecnica in cui vengono inseriti nella prostata degli aghi che generano delle temperature sotto lo 0°C per distruggere con il freddo le cellule tumorali (fonte).

Terapia con ultrasuoni (HIFU)

Il trattamento con ultrasuoni HIFU ha l’obiettivo di distruggere le cellule cancerose con ultrasuoni focalizzati. Una sonda viene inserita per via rettale in seguito ad anestesia spinale o generale per generare ultrasuoni focalizzati. Il trattamento può essere totale (prostata intera), parziale (una parte della prostata) o focale (solo la zona della prostata affetta dal cancro è trattata). (fonte).

Immunoterapia

L’immunoterapia dei tumori è un approccio terapeutico che sta riscontrando sempre più interesse per via dei successi delle sue applicazioni negli ultimi anni.

L’immunoterapia ha lo scopo di potenziare o stimolare una risposta immunitaria contro il tumore, esattamente come avviene contro le malattie infettive. I cosiddetti “vaccini tumorali” hanno il vantaggio di stimolare una risposta antitumorale altamente specifica evitando quindi effetti collaterali importanti e permettono quindi una buona qualità di vita.

Per il tumore alla prostata nel 2010 è stato approvato negli Stati Uniti il primo vaccino anti-tumore alla prostata, il Sipuleucel-T, o Provenge.

Il suo utilizzo contro il tumore alla prostata metastatico ormono-resistente ha dimostrato di poter allungare la sopravvivenza dei pazienti in maniera significativa.

Il massaggio terapeutico della prostata è utile in caso di prostatite?

Il Massaggio prostatico è una procedura che può essere eseguita in modo indiretto, facendo delle pressioni sulla zona perineale dell’uomo, o in modo diretto, introducendo il dito attraverso l’ano ed effettuando una serie di delicati movimenti circolari direttamente sulla prostata.

Nella medicina orientale il massaggio prostatico ad uso terapeutico è da molto tempo utilizzato allo scopo di eliminare i residui che si depositano nella ghiandola prostatica diminuendo quindi la pressione sull’uretra per favorire la funzione vescicale.

Nella medicina Occidentale il massaggio terapeutico della prostata è stata una delle pratiche più indicate per aiutare il paziente affetto da prostatite cronica. Sembra invece fortemente sconsigliato in caso di infezione acuta.

All’origine di questo utilizzo si pensava che il processo infiammatorio batterico all’interno della prostata causasse delle occlusioni e quindi la ritenzione dei liquidi nell’organo, favorendo l’irritazione della prostata.

Tuttavia, non sembrano esserci grosse basi scientifiche a sostegno dell’utilizzo del massaggio prostatico nel trattamento della prostatite, così come non esiste nessuna evidenza nella prevenzione del tumore alla prostata.

Il massaggio prostatico è invece una pratica che può alleviare i disturbi legati all’ipertrofia benigna della prostata, o prostata ingrossata, aiutando a mantenere questa ghiandola maschile in buona salute. Un massaggio prostatico ben eseguito da un operatore esperto può infatti favorire un buon flusso sanguigno, migliorare l’ossigenazione dei tessuti della prostata e contribuire ad alleviare disturbi della minzione e difficoltà erettili legati all’ingrossamento della ghiandola.

Il massaggio prostatico, così come l’esplorazione rettale eseguita durante una visita urologica causano un aumento del PSA nel sangue. E’ infatti indicato di non eseguire il test del PSA nei giorni immediatamente successivi a queste procedure per non alterare il risultato.

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Avere la pressione sanguigna alta, il diabete o malattie cardiovascolari è oggi una situazione molto comune nella popolazione italiana e dei paesi industrializzati.

Queste patologie sono più comuni nelle persone anziane e sembrano in gran parte associate ai casi più gravi di COVID-19.

Tuttavia l’80% dei casi di infezioni da coronavirus sono lievi e sembrerebbe che questo nuovo virus possa mettere in pericolo persone anche non anziane o malate.

Chi sono gli individui più a rischio?

Persone sopra i 65 anni, individui con patologie polmonari come l’asma, donne in stato di gravidanza, soggetti affetti da HIV.

Ci sono rischi per persone affette da tumore alla prostata?

Gli effetti dell’infezione da coronavirus potrebbero essere più gravi per alcune persone con tumore alla prostata.

Questi includono:

  • uomini sottoposti a chemioterapia o che hanno ricevuto una chemioterapia negli ultimi tre mesi
  • uomini che hanno ricevuto farmaci per studi clinici che regolano il sistema immunitario, come olaparib (Lynparza®) o pembrolizumab (Keytruda®).

Se stai ricevendo, o hai recentemente avuto, uno di questi trattamenti, è molto importante seguire la consulenza di esperti sul distanziamento sociale. Ciò significa evitare il più possibile il contatto con altre persone, compresi amici e familiari, per ridurre il rischio di contrarre coronavirus.

È molto probabile che il medico o l’infermiere limitino la quantità di tempo che è necessario trascorrere in ospedale o in ambulatorio medico. Ad esempio, probabilmente avrai appuntamenti telefonici, ove possibile, invece di visitare l’ospedale o avere un consulto diretto. Potrebbe anche essere possibile fare esami del sangue a casa. Parla con il tuo medico o l’infermiere se sei preoccupato per i tuoi appuntamenti.

Se i consigli per le persone che hanno un trattamento del cancro cambiano in qualsiasi momento, gli operatori sanitari e le organizzazioni benefiche prenderanno provvedimenti per assicurarsi che i pazienti abbiano le informazioni più recenti.

Sono sempre più forti i dubbi riguardo all’utilità del test del PSA come test preliminare nel percorso diagnostico del tumore alla prostata

Lo dice anche un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of medicine: I benefici del test del PSA sembrano marginali, mentre i danni sono provati e rilevanti.

I danni dovuti allo screening del tumore alla prostata includono le lesioni dovute ai vari test come la biopsia prostatica (rischio di sanguinamento o infezioni) e l’eccesso di diagnosi: i cosiddetti “danni da screening”.

I danni più frequentemente associati con lo screening del tumore alla prostata si riferiscono al livello di ansia espresso dai pazienti.

E’ stato visto che un risultato falsamente positivo del test del PSA può causare ansia soprattutto nel caso in cui la biopsia risultasse negativa.

In sintesi, vi sono prove che evidenziano un certo livello d’ansia connessa con il processo di screening del tumore alla prostata, che aumenta quando gli individui sono in attesa della biopsia. E’ stato evidenziato che gli uomini con risultati falsamente positivi del PSA hanno una maggiore preoccupazione, sia a breve sia a lungo termine, di avere un tumore alla prostata, rispetto agli uomini con risultati realmente negativi.

Inoltre gli uomini con un PSA elevato si sottopongono ad un numero maggiore di controlli successivi rispetto agli uomini che hanno risultati effettivamente negativi.

Il tumore alla prostata non rientra nel gruppo delle malattie oncologiche più letali. Oggi circa il 90% dei pazienti sopravvive in seguito alla diagnosi, quando questa viene effettuata in tempo. In molti casi si parla di tumori a “basso rischio” ovvero malattie che hanno un decorso talmente lento da non richiedere necessariamente una terapia aggressiva, come l’intervento chirurgico, ma una semplice vigilanza.

Tuttavia, in molti casi lo stato d’ansia generato già dal sistema di screening porta alcuni pazienti a richiedere spontaneamente un intervento radicale, sottovalutandone gli effetti collaterali quali impotenza e incontinenza.

Data l’alta prevalenza di risultati falsamente-positivi del test del PSA, questi effetti deleteri non sono irrilevanti.

Ogni uomo vive la malattia in modo soggettivo. Per questo motivo un supporto psicologico può aiutare il paziente a gestire la malattia e le emozioni coinvolgendo anche i familiari.

Il percorso diagnostico del tumore alla prostata è spesso molto lungo e lascia spesso l’uomo con molte incertezze.

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