Un corretto stile di vita, tramite una alimentazione equilibrata, praticare attività fisica ed avere buone abitudini sessuali permettono di mantenere la prostata in salute.

Si sa. Nove persone su dieci adorano il cioccolato. E la decima mente! (cit.)
Oltre ad essere una golosità, il cioccolato ha anche molti benefici per la salute, ma molti uomini si chiedono: cioccolato e prostata vanno d’accordo?
Grazie alla ricerca, oggi sappiamo che i benefici del cioccolato sono dovuti alla presenza di sostanze naturalmente presenti nelle fave di cacao.

Oltre a contenere un’elevata quantità di minerali come il magnesio, il potassio, il rame e il ferro, ciò che rende il cioccolato così benefico per la nostra salute sono i polifenoli, delle sostanze naturali presenti in molti vegetali e che hanno mostrato avere molteplici proprietà.

Tra questi polifenoli i più abbondanti sono catechine, antocianine e proantocianidine, sostanze con funzione principalmente antiossidante, che hanno la capacità di neutralizzare i radicali liberi, elementi altamente reattivi che contribuiscono a danneggiare le cellule del nostro corpo.

Inoltre, alcune di queste sostanze contenute nel cacao hanno dimostrato di essere in grado di stimolare il sistema immunitario, e quindi potenzialmente prevenire l’insorgenza dei tumori.

Ad oggi, i risultati della ricerca sui possibili effetti anti-tumorali del cioccolato non sono ancora completamente chiari. Tuttavia, la maggior parte degli studi suggerisce che mangiare cioccolato possa ridurre il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumore.
E’ da sottolineare che i benefici nutrizionali del cioccolato provengono dalle sostanze contenute nella fava di cacao, quindi il cacao puro in polvere e il cioccolato fondente (contenente almeno 70% di cacao) ne sono ovviamente ricchi.

Il cioccolato al latte presenta meno benefici, prima di tutto perché possiede meno cacao, ma anche perché è proprio la presenza del latte a legare gli antiossidanti, rendendoli non disponibili.

Ma le proprietà del cioccolato non si limitano ad un benessere fisico. L’assunzione di cioccolato, infatti, fa aumentare i livelli di alcuni neurotrasmettitori che inducono le sensazioni di piacere: la serotonina (attiva nella regolazione del sonno e dell’attività sessuale); l’endorfina (efficace nell’inibizione del dolore); la difenildantonina (una sostanza antidepressiva).

Il cioccolato fondente grazie ai suoi benefici per la salute è stato inserito nella lista dei cosiddetti superfood.

La moderazione è comunque importante perché il cioccolato contiene anche zuccheri e grassi, che possono avere conseguenze negative sulla salute (come l’obesità e il diabete) se consumati in eccesso.

Ma qual è il rapporto tra cioccolato e prostata?

Gli studi condotti sulle patologie prostatiche sembrano concordare che un consumo elevato di cioccolato (specialmente quello al latte) sia correlato con lo sviluppo di tumori aggressivi e con il peggioramento di malattie infiammatorie. Contrariamente, un consumo moderato di cioccolato fondente è in grado di fornire benefici per la salute, anche in caso di tumore alla prostata.

Referenze:

Effect of Cocoa and Its Flavonoids on Biomarkers of Inflammation: Studies of Cell Culture, Animals and Humans

Cocobiota: Implications for Human Health

Cocoa and Dark Chocolate Polyphenols: From Biology to Clinical Applications

Total antioxidant intake and prostate cancer in the Cancer of the Prostate in Sweden (CAPS) study. A case control study

Una nutrizione corretta costituisce, assieme a una adeguata attività fisica e al controllo di altri fattori di rischio, un elemento fondamentale nella prevenzione di numerose condizioni patologiche della prostata. E’ infatti ormai stato dimostrato che lo stile di vita e le scelte alimentari agiscono in modo incisivo nella possibilità di ridurre il rischio di sviluppare alcune malattie, di controllarne l’evoluzione o, al contrario, provocarne l’insorgenza.

Secondo l’OMS, il 35% dei casi di tumore è riconducibile ad abitudini alimentari sbagliate. La dieta che più rispetta le semplici e fondamentali regole della corretta alimentazione è quella mediterranea, dichiarata nel 2010 patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco.

L’integrazione con sostanze naturali e con fitoterapia trovano sempre maggiore interesse da parte di personale medico e non. Ma non dobbiamo sottovalutare uno dei fattori più importanti che giocano a favore del nostro organismo: la nutrizione.

Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo

Ippocrate

Negli ultimi anni si sta sviluppando una disciplina chiamata “Nutraceutica”, dalla fusione di “nutrizione” e “farmaceutica”, che ha lo scopo di indagare tutti i componenti o i principi attivi degli alimenti con effetti positivi per la salute, la prevenzione e il trattamento delle malattie.

Invece di mangiare e curarsi, ecco come curarsi mangiando!

(Scarica “La nutrizione nel malato oncologico” pubblicato da AIMAC, 2017).

nutrizione e tumore alla prostata

Le informazioni raccolte in questa pagina rappresentano una panoramica su alcuni alimenti e supplementi alimentari che hanno dimostrato su base scientifica di avere la capacità di ridurre il rischio di sviluppare un tumore alla prostata o di aumentare l’efficacia dei trattamenti contro questa malattia.

Referenza: PDQ Integrative, Alternative, and Complementary Therapies Editorial Board. Prostate Cancer, Nutrition, and Dietary Supplements (PDQ®): Health Professional Version. 2017 Jun 6.

POMODORI

I pomodori sono ricchissimi di licopene un pigmento naturale delle piante di colore rosso che si trova in diversi frutti (come albicocche e anguria) e vegetali, ed è dotato di notevoli proprietà antiossidanti.

Il licopene abbonda in modo particolare nel pomodoro maturo: la polpa ne contiene mediamente 11 mg per 100 g e la buccia addirittura più di 50 mg (il licopene della buccia cruda è, però, meno biodisponibile rispetto a quello della polpa) ed i livelli contenuti dipendono dal grado di maturazione del pomodoro. E’ stato calcolato infatti che in pomodori rossi sono presenti 50 mg/kg di licopene, mentre la concentrazione scende a 5 mg/kg nelle varietà gialle. Inoltre la biodisponibilità del composto sembra essere più elevata nei prodotti trattati termicamente (ad esempio salse di pomodoro) rispetto ai prodotti crudi.

DATI CLINICI

Studi di popolazione hanno evidenziato che il consumo di alimenti ricchi di licopene possa essere in grado di ridurre il rischio di sviluppare un tumore alla prostata. In uno studio è stato inoltre osservato che una dieta ricca di licopene (es. pomodori crudi e cotti) possa ridurre il rischio di sviluppare la malattia anche in uomini che hanno avuto casi in famiglia di tumore alla prostata.

Prevenzione: Un piccolo gruppo di uomini con una diagnosi di HGPIN (situazione di iniziale trasformazione delle cellule prostatiche) ha ricevuto per 2 anni licopene come supplemento alla dieta. A distanza di tempo è stato osservato che in questi soggetti l’HGPIN era evoluto in un tumore alla prostata molto meno rispetto ai soggetti di controllo.

Cura: Diversi trial clinici hanno evidenziato effetti positivi sulla crescita tumorale. In particolare, in alcuni uomini che hanno consumato piatti contenenti salsa di pomodoro per 3 settimane prima dell’asportazione chirurgica della prostata è stato osservato un aumento della morte delle cellule tumorali rispetto ai soggetti di controllo.

Da queste evidenze si evince che includere alimenti ricchi di licopene nella propria nutrizione possa prevenire in alcuni casi lo sviluppo di un tumore alla prostata e di rallentarne la crescita anche in fasi conclamate.

MELOGRANO

Il melograno è un arbusto (Punica Granatum) originario dell’Asia, diffuso poi nel Mediterraneo e coltivato anche in Italia sia per i frutti sia come pianta ornamentale. L’utilizzo di questa pianta per scopi “curativi” ha origine antichissime. Quasi ogni parte del frutto contiene dei composti bioattivi, dalla buccia, ai semi succosi, alla buccia che riveste i semi.

DATI CLINICI

Diversi studi clinici hanno dimostrato che l’assunzione di succo di melograno o estratto di melograno in aggiunta ad una normale nutrizione sia in grado di rallentare l’aumento di PSA dopo resezione chirurgica o radioterapia, indicando un effetto nella ripresa di malattia o su eventuali cellule residue.

TE’ VERDE

te verde the prostata

Il te verde è una pianta originaria dell’Asia, oggi utilizzata i tutto il mondo per la preparazione di tisane e non solo. Il te verde è ricco di polifenoli, molecole con attività antiossidanti che proteggono le cellule riducendo i radicali liberi. Tra i polifenoli contenuti nel te verde troviamo la famiglia delle catechine e principalmente la epigallocatechina-3-gallate (EGCG).

DATI CLINICI

Studi di popolazione hanno evidenziato che il consumo di te verde possa avere un effetto protettivo nella popolazione Asiatica, in cui l’incidenza del tumore alla prostata risulta essere tra le più basse del mondo.

Prevenzione: Trial clinici hanno dimostrato che il trattamento con catechine di te verde diminuisce il rischio di sviluppare tumore alla prostata.

Cura: Trial clinici hanno evidenziato che l’assunzione di polifenoli, catechine o bevande al te verde ha effetti limitati su tumori conclamati e avanzati.

EFFETTI COLLATERALI

In alcuni degli studi effettuati, sono stati osservati alcuni effetti collaterali, generalmente di lieve entità, principalmente dovuti alla quantità di caffeina, come mal di testa, nausea, dolori addominali, diarrea, debolezza, dolori gastrointestinali.

CALCIO

formaggio prostata

Il calcio è un minerale necessario per il funzionamento di numerose funzioni fisiologiche, tra cui quella ossea e muscolare e viene immagazzinato principalmente nelle ossa.

DOVE SI TROVA

E’ contenuto naturalmente in diversi alimenti, maggiormente nel latte e nei suoi derivati (formaggi, yogurt, ecc), ma anche in alcuni vegetali come broccoli e spinaci (in cui però risulta difficilmente assorbibile dal corpo).

DATI CLINICI

Studi di popolazione e trial clinici sulla correlazione tra tumore alla prostata e dieta ricca di calcio hanno dato risultati non univoci.

In generale, gli uomini che hanno seguito una dieta ricca di calcio o hanno ricevuto un supplemento di calcio alla dieta hanno sviluppato un tumore alla prostata più tardi rispetto ad altri uomini. Tuttavia, in alcuni casi è stata osservata un’associazione tra dieta ricca di calcio e sviluppo di tumori prostatici più aggressivi.

Ulteriori studi sono necessari per chiarire vantaggi e svantaggi del calcio nella nutrizione nello sviluppo del tumore alla prostata.

La Serenoa repens ha ormai guadagnato un’ottima reputazione per combattere i disturbi alla prostata, tanto che rappresenta la base di tutti i più diffusi prodotti da banco venduti per diversi tipi di patologie, dall’ingrossamento al tumore alla prostata.

La Serenoa repens, o Palma Nana, o Saw Palmetto, è un piccolo albero di palma, nativo dell’India Occidentale e della costa Atlantica del Nord America.

I nativi americani utilizzavano le bacche come cibo e come cura contro una grande varietà di problemi legati al sistema urinario e all’apparato riproduttivo. I coloni europei impararono presto a utilizzarla.

Per almeno 200 anni venne usato l’estratto secco per diverse patologie: stanchezza, debolezza, problemi urogenitali e così via.

Una meta-analisi pubblicata nel 2000 sulla rivista Journal of the American Medical Association (fonte) aveva evidenziato l’efficacia degli estratti di Serenoa nel trattamento dei sintomi nell’ingrossamento della prostata (e in alcuni casi dei benefici anche per la calvizie maschile).

Tuttavia, i risultati di un trial clinico pubblicati sull’illustre rivista New England Journal of Medicine nel 2006 (fonte) avevano ribaltato queste evidenze, indicando che il trattamento con Serenoa Repens non migliorava i sintomi della iperplasia prostatica benigna.
Non sono state osservate differenze tra il gruppo che ha ricevuto estratti di Serenoa e il gruppo che ha ricevuto placebo per tutti i parametri considerati come la valutazione dei sintomi, flusso urinario, variazioni del volume della prostata, residuo vescicale post-minzionale, qualità di vita, effetti avversi e anche il livello di PSA.

L’effetto diretto della serenoa repens sul valore del PSA è minimo, mentre l’effetto indiretto (e cioè la riduzione dello stato di infiammazione cronica della prostata) è più importante. In caso di assunzione di serenoa repens da molto tempo, il valore di PSA potrebbe essere pertanto interpretato come un valore più attendibile, non influenzato dallo stato infiammatorio.

Tuttavia, questo aspetto non deve farci pensare che l’assunzione di serenoa repens sia sufficiente per rendere il test del PSA un esame di screening attendibile per il tumore alla prostata.

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La serenoa repens fa veramente bene alla prostata?

La discordanza tra di meta-analisi e studio clinico potrebbero stare in parte nella diversa preparazione degli estratti di serenoa repens.

Uno studio pubblicato recentemente sull’illustre rivista scientifica European Urology (fonte) ha incrociato i dati di 22 trial clinici con caratteristiche simili per cercare di dare una risposta ad una domanda che molti uomini si pongono: assumere serenoa repens fa veramente bene alla prostata?

Da questa meta-analisi è stato evidenziato un miglioramento clinicamente significativo dei sintomi legati a ingrossamento della prostata negli uomini che hanno assunto estratti di Serenoa repens per un periodo superiore ai 12 mesi.

Al contrario, l’assunzione di Serenoa repens per periodi inferiori ai 12 mesi non sembra apportare alcun miglioramento clinicamente significativo.

Complessivamente, gli estratti di Serenoa repens hanno mostrato degli effetti inferiori rispetto a tutti i farmaci alfa-bloccanti, come il finasteride, nel trattamento delle patologie prostatiche, ma con qualche effetto collaterale in meno.

I preparati a base di Serenoa Repens rientrano in quei prodotti da banco per cui non serve una prescrizione ed esattamente come per gli altri integratori c’è la diffusa convinzione di poterla consigliare a casaccio perché “tanto, male non fanno”.

In realtà gli integratori usati male possono avere delle controindicazioni anche importanti. Come dimostra questo studio, i benefici ci possono essere.

Ma insieme all’indicazione a usare la Serenoa ci vorrebbe anche un “piano d’azione” suggerito da un professionista in base alle esigenze del paziente.

riferimenti:

Meta-analisi 2000: http://www.jaoa.org/cgi/reprint/100/2/89

Trial clinico 2006: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16467543

Meta-analisi 2020: https://www.eu-focus.europeanurology.com/article/S2405-4569(20)30018-3/fulltext

La prostata ingrossata, o “iperplasia benigna della prostata” è una condizione patologica che consiste nell’aumento di volume dell’organo.

E’ una situazione che si manifesta in genere dopo i 50 anni ed è molto frequente nella fascia compresa tra i 60 e gli 80 anni: si stima che sia presente in più della metà degli over 50 e nei tre quarti degli ultraottantenni.

Non sono ancora ben chiare le cause, ma sembra che alla base dell’ingrossamento della prostata ci siano squilibri ormonali, infezioni virali o batteriche, o più in generale uno stato di infiammazione (fonte), detta prostatite.

La prostata è attraversata dal primo tratto dell’uretra, il canale che porta l’urina dalla vescica verso l’esterno. Quando la prostata si ingrossa è come se “strozzasse” l’uretra impedendogli di allargarsi quando la vescica deve svuotarsi durante la minzione.

Si conseguenza se l’uretra ha degli impedimenti ad allargarsi farà resistenza allo svuotamento della vescica.

Tuttavia, in alcuni casi anche una prostata non eccessivamente ingrossata può causare una difficoltà all’uretra di espandersi. In questi casi tutto dipende dalle caratteristiche del tessuto, più o meno rigido.

Quali sono i sintomi della prostata ingrossata?

In tutti i casi, l’incapacità dell’uretra di allargarsi disturba lo svuotamento della vescica (la minzione).

La conseguenza è quindi una progressiva difficoltà ad urinare. Si sente il bisogno di urinare spesso, anche durante la notte.

Il getto dell’urina risulta debole, in alcuni intermittente, talvolta con sgocciolamento al termine della minzione e sensazione di non avere svuotato completamente la vescica.

In alcuni casi sono necessari diversi secondi prima di riuscire ad urinare oppure bisogna aiutarsi contrando i muscoli addominali.

Più raramente può essere presente del sangue nelle urine. In situazioni è spesso presente un’infezione delle vie urinarie.

È da ricordare che la prostata ingrossata non è sempre sintomatica e molti uomini, infatti, possono non presentare alcun disturbo di rilievo.

Come si effettua la diagnosi di prostata ingrossata?

In presenza di sintomi è necessario riferirsi al mproprio medico di famiglia che potrà indirizzare ad una visita urologica in cui si potranno valutare tramite l’esplorazione rettale le caratteristiche della prostata.

Oltre alla visita urologica potranno essere richiesti degli esami aggiuntivi per confermare il sospetto di iperplasia prostatica benigna e per escludere altre situazioni patologiche e non che possono presentare sintomi simili.

Nello specifico, gli esami che potranno essere necessari sono:

  • Uroflussimetria, per quantificare oggettivamente le caratteristiche del getto urinario.
  • Ecografia dell’addome, per escludere complicanze quali calcoli, diverticoli, dilatazioni di reni o ureteri e per identificare la presenza di residuo di urina in vescica dopo aver urinato.
  • PSA, per escludere, insieme all’esplorazione rettale, la presenza di altre malattie prostatiche.

Come si cura l’ingrossamento della prostata?

In seguito alla diagnosi di iperplasia prostatica benigna ed aver escluso la presenza di altre patologie, la scelta del percorso terapeutico si basa principalmente sui sintomi e sulla presenza o meno di complicanze.

Terapia comportamentale

Prima di parlare degli approcci farmacologici è bene sapere che l’adozione di uno stile di vita sano può migliorare gli effetti di una terapia ed evitare peggioramenti o complicanze nei casi avanzati.

Alcuni semplici accorgimenti per tenere sotto controllo i sintomi del basso apparato urinario sono:

  • Praticare regolarmente attività fisica, anche moderata;
  • Ridurre (e in alcuni casi evitare) il consumo di bevande alcoliche e bevande zuccherate;
  • Mantenere nella norma il peso corporeo (perdere peso, se necessario);
  • Evitare cibi che irritano (peperoncino, crostacei…)
  • Bere acqua lontano dai pasti

Terapia farmacologica

Si utilizzano principalmente due tipi di farmaci:

Gli alfa-antagonisti o alfa-litici: vanno a bloccare i recettori alfa situati sulle cellule muscolari lisce della prostata, inducendo il rilassamento dei muscoli sfinterici e favorendo l’apertura ad imbuto del collo vescicale e dell’uretra prostatica, facilitando in questo modo il passaggio dell’urina.

Inibitori della 5-alfa-reduttasi: bloccano la conversione del testosterone nella sua forma attiva (DHT) che sembra essere il “carburante” della crescita delle cellule prostatiche.

Terapia chirurgica

Quando i sintomi dell’ingrossamento della prostata risultano essere tali da pregiudicare la qualità della vita del paziente e le terapie farmacologiche non hanno avuto effetti, si ricorre alla chirurgia.

Esistono oggi diverse tecniche chirurgiche utilizzate per l’iperplasia prostatica, più o meno invasive.

  1. TURP (Resezione Transuretrale della Prostata) rappresenta il gold standard del trattamento chirurgico. È un intervento endoscopico realizzato attraverso l’uretra in cui il chirurgo può sezionare e asportare strati della ghiandola prostatica in eccesso.
  2. Laserterapia, solitamente laser al Tullio, che permette sia l’enucleazione (TuLEP = Tullium Laser Excision of Prostate) che la vaporizzazione dell’iperplasia prostatica benigna. Rispetto alla TURP ha tuttavia lo svantaggio di esporre i tessuti ad elevata energia causando disturbi irritativi postoperatori.
  • Adenomectomia prostatica, è la terapia chirurgica più invasiva ed è riservata ai casi di prostata ingrossata più severi. Prevede l’incisione dell’addome allo scopo di raggiungere la prostata ingrossata e asportarne la parte in eccesso.

Un’iperplasia benigna può evolvere in un tumore alla prostata?

Con il termine iper-PLASIA si intende un aumento del numero di cellule.

Un tumore è una situazione in cui una cellula impazzisce e inizia a moltiplicarsi, quindi aumentando il numero.

L’iperplasia è tecnicamente un tumore (che vuole dire “rigonfiamento”), ma di tipo “benigno”.

Un tumore viene definito “benigno” quando la sua espansione non compromette i tessuti circostanti e non si espande fuori dal suo spazio.

Un tumore viene definito “maligno” quando si espande agli altri tessuti, anche a distanza (es. metastasi).

Sebbene iperplasia benigna della prostata e tumore alla prostata abbiano sintomi molto simili, si tratta di due patologie distinte, sia per causa sia per progressione e possono anche essere presenti contemporaneamente nello stesso paziente.

Quante volte abbiamo sentito che bisogna bere almeno due litri d’acqua al giorno?

Ormai lo sappiamo tutti! In realtà questa convinzione deriva da uno sbagliato modo di tramandare una raccomandazione del Food and Nutrition Board del 1945 secondo cui le persone avrebbero bisogno di circa 2,5 litri di acqua al giorno.

In realtà, questa raccomandazione parlava anche del fatto che buona parte di questa quantità d’acqua è contenuta nei cibi che mangiamo. L’acqua è presente nella frutta, nella verdura, nel caffè, nella birra, nel tè… Ovviamente l’acqua pura resta la miglior fonte, essendo acqua al 100%, ma non è certamente l’unica via di idratazione.

Un punto importante da ricordare è che questi fantomatici “2 litri” rappresentano un valore medio abbastanza grossolano.

La realtà è che il nostro corpo deve reintrodurre la stessa quantità di liquidi che ha perso durante la giornata. E per calcolare quanta acqua espelliamo non basta misurare quanta plinplin abbiamo fatto. Il nostro corpo, infatti, perde acqua anche con la sudorazione e con la respirazione.

Quindi come facciamo a sapere esattamente quanta acqua bere? Non bisognerebbe preoccuparsi di non aver mai sete. Basta ascoltare il proprio corpo. Il nostro organismo è infatti programmato per segnalarci di bere molto prima che di andare incontro ad una vera e propria disidratazione.

Però lo sappiamo tutti che l’acqua “fa bene”, quindi nel dubbio possiamo berne comunque tanta?

Contrariamente a quello che si può sentire, non c’è alcuna prova scientifica che bere acqua in più abbia benefici per la salute per una persona sana. Ad esempio, alcuni studi non sono riusciti a dimostrare che bere più acqua mantenga la pelle idratata e faccia alleviare le rughe.

Altri studi, non hanno trovato nell’aumentata assunzione di liquidi nessun beneficio a livello di mortalità, di salute in generale, o di funzionalità renale fatta eccezione per la prevenzione dei calcoli renali in persone che li avevano già avuti.

Con l’arrivo del caldo, ogni anno i telegiornali ci bombardano con servizi minacciosi in cui ci invitano in maniera indiscriminata a bere. Come detto, sopra la cosa migliore è ascoltare il proprio corpo e dargli abbastanza liquidi per svolgere le normali attività di tutti i giorni: questo significa che restare idratato.

Possiamo accorgerci si andare incontro a disidratazione da segnali molto semplici, come debolezza, bassa pressione sanguigna, capogiri, confusione o urina di colore scuro.

È anche importante ricordare che i nostri meccanismi della sete perdono sensibilità quando abbiamo più di 60 anni. Con l’avanzare dell’età, potrebbe essere quindi necessario stare più attenti alle nostre abitudini di consumo di liquidi per rimanere idratati.

La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che i nostri requisiti di fluidi variano a seconda dell’età, delle dimensioni del corpo, del genere, dell’ambiente e del livello di attività fisica della persona.

Sul sito della Comunità Europea (fonte) è possibile trovare alcune linee guida e alcuni numeri legati al consumo e al fabbisogno di acqua di ogni individuo.

Ricordando sempre che si tratta di linee guida e non di regole.

Il tumore alla prostata è la malattia oncologica più comune negli uomini di tutto il mondo e una delle più studiate, eppure non conosciamo ancora tutte le sue cause. Recentemente un grande studio condotto dall’Università di Bristol e cofinanziato dal World Cancer Research Fund (WCRF) e dal Cancer Research UK (CRUK), che ha coinvolto più di 140.000 uomini ha valutato gli effetti dell’attività fisica sul rischio di sviluppare un tumore alla prostata (fonte).

In questo studio è stato esaminato il ruolo di 22 fattori di rischio sullo sviluppo di un tumore alla prostata, e le evidenze riguardo ai fattori legati all’attività fisica sono stati i più sorprendenti. I risultati ottenuti combinando analisi genetiche, dati sullo stile di vita e il rischio di tumore, supportano le evidenze ottenute in precedenti studi osservazionali secondo cui essere attivi può ridurre il rischio di sviluppare una malattia oncologica.

E’ emerso che integrando il livello di attività fisica, di ferro e grassi monoinsaturi nel sangue, l’indice di massa corporea (BMI) e l’altezza è possibile distinguere gli uomini sani da quelli che hanno sviluppato un tumore alla prostata e anche identificarne il grado di aggressività.

Importante sottolineare che per attività fisica, livelli di ferro e BMI è stata osservata una correlazione inversa, ovvero all’aumentare di questi valori diminuisce il rischio di tumore, mentre per livelli di grassi monoinsaturi e altezza si è osservata una correlazione diretta con il rischio di tumore.

Appare curioso che l’aumento di BMI risulti protettivo nei confronti della malattia, contrariamente a quello già noto per moltissime altre patologie, anche oncologiche. Il motivo potrebbe essere appunto che l’aumento di BMI in presenza di una buona attività fisica abbia dei benefici sulla salute della prostata.

Da sottolineare che risultati riguardano l’attività fisica complessiva, non solo un intenso esercizio fisico, come una attività agonistica.

Diversi studi sostenuti dal WCRF avevano già dimostrato che essere attivi può ridurre il rischio di cancro all’intestino, al seno e all’utero, ma le prove dell’attività fisica sul tumore alla prostata erano ancore limitate.

Serviranno comunque ulteriori studi per studiare i meccanismi attraverso i quali questi fattori possano regolare lo sviluppo di un tumore alla prostata per valutare come poter intervenire per ridurre il rischio di andare incontro a questa malattia.

Sono sempre più forti i dubbi riguardo all’utilità del test del PSA come test preliminare nel percorso diagnostico del tumore alla prostata

Lo dice anche un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of medicine: I benefici del test del PSA sembrano marginali, mentre i danni sono provati e rilevanti.

I danni dovuti allo screening del tumore alla prostata includono le lesioni dovute ai vari test come la biopsia prostatica (rischio di sanguinamento o infezioni) e l’eccesso di diagnosi: i cosiddetti “danni da screening”.

I danni più frequentemente associati con lo screening del tumore alla prostata si riferiscono al livello di ansia espresso dai pazienti.

E’ stato visto che un risultato falsamente positivo del test del PSA può causare ansia soprattutto nel caso in cui la biopsia risultasse negativa.

In sintesi, vi sono prove che evidenziano un certo livello d’ansia connessa con il processo di screening del tumore alla prostata, che aumenta quando gli individui sono in attesa della biopsia. E’ stato evidenziato che gli uomini con risultati falsamente positivi del PSA hanno una maggiore preoccupazione, sia a breve sia a lungo termine, di avere un tumore alla prostata, rispetto agli uomini con risultati realmente negativi.

Inoltre gli uomini con un PSA elevato si sottopongono ad un numero maggiore di controlli successivi rispetto agli uomini che hanno risultati effettivamente negativi.

Il tumore alla prostata non rientra nel gruppo delle malattie oncologiche più letali. Oggi circa il 90% dei pazienti sopravvive in seguito alla diagnosi, quando questa viene effettuata in tempo. In molti casi si parla di tumori a “basso rischio” ovvero malattie che hanno un decorso talmente lento da non richiedere necessariamente una terapia aggressiva, come l’intervento chirurgico, ma una semplice vigilanza.

Tuttavia, in molti casi lo stato d’ansia generato già dal sistema di screening porta alcuni pazienti a richiedere spontaneamente un intervento radicale, sottovalutandone gli effetti collaterali quali impotenza e incontinenza.

Data l’alta prevalenza di risultati falsamente-positivi del test del PSA, questi effetti deleteri non sono irrilevanti.

Ogni uomo vive la malattia in modo soggettivo. Per questo motivo un supporto psicologico può aiutare il paziente a gestire la malattia e le emozioni coinvolgendo anche i familiari.

Il percorso diagnostico del tumore alla prostata è spesso molto lungo e lascia spesso l’uomo con molte incertezze.

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Per molte persone è normale dormire poco o non dormire abbastanza durante la settimana e poi cercare di recuperare le energie perse durante il week-end.

Ma uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Current Biology mostra che questa strategia non annullerà gli effetti negativi della privazione del sonno sul corpo.

In questo studio i ricercatori hanno osservato che le persone che dormivano solo cinque ore per notte avevano sviluppato dei cambiamenti nel loro metabolismo, come un calo del 13% della sensibilità all’insulina ed un aumento del peso di circa 1,5 chili, rispetto agli individui che hanno dormito 9 ore a notte.

E’ stato visto inoltre che il recupero del sonno durante il fine settimana era in grado di prevenire la disregolazione metabolica associata a sonno insufficiente ricorrente.

Un altro studio della Harvard School of Public Health di Boston ha evidenziato che la melatonina, ormone che regola il sonno, avrebbe un ruolo importante nello sviluppo del tumore alla prostata.

È emerso che gli uomini che non avevano problemi ad addormentarsi e quindi avevano livelli di melatonina superiori alla media avevano il 30% di probabilità in meno di sviluppare un tumore alla prostata ed un rischio inferiore del 75% di sviluppare questa malattia in forma avanzata, rispetto ad individui con livelli di melatonina inferiori alla media.

I livelli di melatonina dipendono da vari fattori, come la quantità e la qualità del sonno: quando i ritmi sonno-veglia vengono interrotti, l’organismo produce meno melatonina.

Questo studio della Harvard School apre ad un interessante ambito di ricerca che necessita di ulteriori indagini per essere convalidato.

fonte: https://www.cell.com/current-biology/pdfExtended/S0960-9822(19)30098-3