Il mito che la dieta alcalina possa proteggere il corpo da malattie, addirittura da tumori è ormai largamente diffuso.

La motivazione che viene portata a sostegno di questa idea si basa sull’affermazione che le cellule tumorali prosperino in un ambiente acido e non possono sopravvivere in un ambiente basico (o alcalino), quindi una “dieta alcalinizzante” promuoverebbe un ambiente ostile per lo sviluppo di un tumore.

Ok. C’è una verità di fondo, ma molte cose non tornano.

Gli studi che hanno visto che le cellule tumorali vivono in un ambiente acido sono stati condotti in vitro in laboratorio. In pratica il pH del liquido in cui le cellule tumorali sono immerse dentro ad una provetta scende con il tempo, acidificandosi.

In vitro.

In un essere vivente questo non avviene. Il nostro corpo è programmato per regolare molto bene l’equilibrio acido-base. Per esempio, il pH del sangue viene costantemente mantenuto tra 7,35 e 7,45. Se il livello di pH si allontana da questi limiti, in alto o in basso, il nostro corpo ne può risentire pesantemente, fino alla morte.

Per questo motivo nel nostro corpo si sono sviluppato diversi meccanismi per impedire che il pH del sangue esca da questo range.

Esistono alcune aree del corpo, con funzioni specifiche, che mantengono un pH molto più acido, come lo stomaco. In questo caso però l’elevata acidità ha la funzione di “sciogliere” ciò che ingeriamo per rendere meglio disponibili i diversi nutrienti.

Quindi una dieta alcalinizzante potrebbe neutralizzare questa acidità? Fortunatamente il nostro corpo tende sempre a mantenere stabile un determinato pH a seconda della zona del corpo.

Nelle dieta alcalina, generalmente, verdura, frutta e semi sono considerati alcalini, mentre carne, fagioli, noci e cereali sono considerati acidi. Anche latticini, uova e alimenti trasformati non sono considerati alcalini e dovrebbero essere evitati in questa dieta.

Tuttavia, anche alcuni alimenti molto salutari sono elencati come “acidificanti” tra cui cereali integrali e persino il pesce.

Qual è il legame tra dieta alcalina e tumori?

Quando si tratta di cancro, l’interesse per una dieta alcalina deriva principalmente da studi di laboratorio che suggeriscono che le cellule tumorali cancerose hanno un ambiente acido che le circonda.

Però ciò non significa che un ambiente acido sia la causa del cancro. Piuttosto, potrebbe essere il risultato dell’alto tasso metabolico delle cellule tumorali che genera sostanze che acidificano l’ambiente circostante (come l’acido lattico).

La dieta alcalina generalmente incoraggia un maggiore consumo di frutta e verdura e limita l’assunzione di carne. Questo non è sbagliato, anzi, è coerente con le raccomandazioni dell’AICR (associazione internazionale per la ricerca sul cancro) per una dieta che può ridurre il rischio di sviluppare un tumore.

La dieta alcalina prevede di evitare gli zuccheri aggiunti perchè acidificano il corpo. Le raccomandazioni dell’AICR per la prevenzione del cancro e la salute generale consigliano di limitare gli zuccheri aggiunti, non a causa degli effetti sulla produzione di acido, ma perché un eccesso può portare ad un aumento di peso che può portare a infiammazione e livelli elevati di ormoni come l’insulina.

Ci sono comunque importanti incongruenze tra i principi della dieta alcalina e le raccomandazioni per la prevenzione del cancro. Alcuni consigli per questa dieta includono di eliminare o limitare quasi tutti i cereali (anche integrali), caffè, pesce, latticini e oli generalmente considerati salutari (come oli di oliva e avocado).

Viene incoraggiata una scelta selettiva tra frutta, verdura, legumi e frutta a guscio, limitandone altri.

Inoltre, concentrarsi sulla modifica del pH del corpo per proteggersi dal cancro può far sembrare gli integratori o le acque minerali “alcaline” una via facile di prevenzione, anche se non ci sono prove di protezione contro il cancro.

La dieta alcalina modifica il pH o no?

Come detto in precedenza, è quasi impossibile che il cibo modifichi il valore del pH del sangue nelle persone sane, sebbene possano verificarsi piccole fluttuazioni all’interno dell’intervallo normale.

Tuttavia, il cibo può modificare il valore del pH delle urine, sebbene l’effetto possa essere molto variabile.

L’eliminazione degli acidi nelle urine è uno dei modi principali in cui il nostro corpo regola il pH del sangue.

Dopo una bella grigliata di carne e una bottiglia di vino, la tua urina sarà più acida, poiché il tuo corpo rimuove i rifiuti del metabolismo.

Pertanto, gli effetti di una dieta alcalina potrebbero in qualche modo influenzare il pH delle urine, ma bisogna tenere conto che questo è uno scarso indicatore del pH corporeo e della salute generale, in quanto può anche essere influenzato da fattori diversi dalla alimentazione.

Quindi la dieta alcalina non serve a niente?

In conclusione il principio su cui si basa il concetto della dieta alcalina non ha riscontri scientifici e gli unici benefici che può portare sono quelli di una normale dieta equilibrata.

Forse anche qualcosa in meno.

Batteri legati allo sviluppo del tumore alla prostata aggressivo. E’ quanto hanno scoperto i ricercatori dell’Università dell’East Anglia analizzando le urine e il tessuto prostatico di oltre 600 uomini con e senza tumore alla prostata.

Per ora non è chiaro se i batteri siano la causa della comparsa e della progressione del tumore, ma se lo studio verrà confermato potrebbe aprirsi la possibilità di sviluppare dei test diagnostici per individuare gli uomini a rischio di malattia.

Dai risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista European Urology Oncology emergono cinque specie batteriche maggiormente presenti negli uomini con tumore alla prostata avanzato: gli uomini che hanno una o più specie nelle urine avevano una probabilità di avere una progressione di malattia 2,6 volte maggiore rispetto ai pazienti che non avevano nessuna delle specie batteriche.

Attualmente non è possibile determinare con certezza se un tumore progredirà in una malattia aggressiva oppure crescerà lentamente. Avere a disposizione dei parametri che possano aiutare in questo potrebbe permettere di indirizzare le terapie in maniera più specifica.

Determinare inoltre se questi batteri possano essere la causa del tumore alla prostata, potrebbe permettere di utilizzare terapie antibiotiche mirate per ridurre il rischio di sviluppare la malattia. E’ ciò che sperano gli autori dello studio, anche se ulteriori ricerche saranno necessarie per chiarire questo aspetto.

Nonostante l’incidenza e la mortalità del tumore alla prostata stiano gradualmente diminuendo negli ultimi anni, questa patologia rappresenta ancora una delle principali cause di morte per tumori nel mondo.

L’insorgenza e lo sviluppo del cancro alla prostata sono influenzati dalla etnia, dalla storia familiare, dal microambiente e da altri fattori.

Negli ultimi decenni, sempre più studi hanno confermato che la microflora prostatica nel microambiente tumorale può svolgere un ruolo importante nell’insorgenza, nello sviluppo e nella prognosi del tumore alla prostata. I microrganismi e i loro metaboliti possono influenzare la presenza e la metastasi delle cellule tumorali o regolare la sorveglianza immunitaria antitumorale.

La prostatectomia radicale è sempre stato uno dei trattamenti principali per il tumore alla prostata. Negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede una prostatectomia radicale assistita da robot. Con questo approccio, gli strumenti robotici miniaturizzati vengono fatti passare attraverso incisioni molto più piccole nell’addome del paziente che i chirurghi possono controllare a distanza atraverso una console.

Negli Stati Uniti ormai almeno l’85% di tutte le prostatectomie radicali vengono eseguite con tecnica robotica. Ma come si confrontano questi interventi chirurgici ad alta tecnologia con il metodo tradizionale?

La maggior parte degli studi non mostra differenze sostanziali tra le procedure in termini di sopravvivenza dei pazienti o probabilità di comparsa di recidive. La prostatectomia robotica offre apparentemente vantaggi in termini di impatto sulla funzione urinaria e sessuale, quindi sulla qualità della vita.

Tuttavia, pochi studi sono stati condotti per dimostrare effettivamente i pro e contro di una o l’altra tecnica.

I risultati di un recente studio comparativo molto ampio forniscono dati più chiari.

In questo studio sono stati considerati 1.094 uomini trattati con prostatectomia radicale tra il 2003 e il 2013 in diversi centri degli Stati Uniti. Tutti gli uomini avevano un tumore di nuova diagnosi confinato alla ghiandola prostatica. Tra questi, 545 uomini sono stati sottoposti a prostatectomia radicale tradizionale, mentre i restanti 549 uomini un’operazione assistita da robot.

Secondo i risultati, entrambi i metodi erano ugualmente efficaci nel rimuovere il tumore dal corpo ed in entrambi i casi si manifestavano raramente complicanze post-chirurgiche. Tuttavia, sono emerse alcune differenze a breve termine tra i due approcci. Ad esempio, gli uomini trattati con robot hanno avuto una degenza ospedaliera più breve (1,6 giorni contro 2,1 giorni in media) e hanno anche riportato livelli di dolore più bassi dopo l’intervento chirurgico. Gli uomini sottoposti a chirurgia robotica hanno anche riportato meno complicazioni come coaguli di sangue (10 uomini contro 3 uomini), infezioni del tratto urinario (33 uomini contro 23 uomini) e contrattura del collo vescicale, che è una condizione curabile che si verifica quando cicatrici nel il deflusso della vescica rende difficile urinare. In tutto, 45 uomini hanno subito una contrattura del collo vescicale dopo un intervento chirurgico a cielo aperto, rispetto ai nove uomini trattati con il metodo robotico.

Per quanto riguarda la salute urinaria e sessuale, non ci sono state differenze apprezzabili a lungo termine tra i due approcci.

Questo studio aggiunge chiarezza ai dibattiti in corso sulla superiorità della prostatectomia tradizionale rispetto a quella robotica e conferma piccole differenze tra le due metodologie, sia in termini di soddisfazione/risultati del paziente che di efficacia del trattamento del cancro.

Quello che, invece, può fare la differenza resta l’esperienza e l’abilità del chirurgo che esegue l’intervento.

Il sangue nello sperma (emospermia o ematospermia) è sempre un campanello di allarme, ma nella maggior parte dei casi è dovuto ad una patologia benigna.

Più comunemente, il sangue nello sperma è una conseguenza di infezioni di basso grado o infiammazioni delle vescicole seminali o della prostata.

Lo sperma è una sostanza viscosa, formato da una parte cellulare (spermatozoi, prodotti dai testicoli) e una parte liquida prodotta da prostata, vescichette seminali, vie spermatiche e ghiandole di Cowper.

Il sangue nello sperma può quindi derivare da tutte queste zone dell’apparato urogenitale maschile.

La presenza di sangue nello sperma è facilmente riscontrabile dal colore rossastro dell’eiaculato e solitamente non è accompagnato da dolore.

Il sangue nello sperma non è normale, ma non è un evento così raro. E’ solitamente una situazione secondaria ad una patologia infettiva o infiammatoria; tuttavia, in alcuni pazienti, l’emospermia può essere il primo indicatore di altre malattie urologiche o disturbi sistemici.

Quali Sono le Cause del Sangue nello Sperma?

Il sangue nello sperma può essere dovuto ad una infezione, infiammazione, o un danneggiamento in qualsiasi parte del sistema riproduttivo maschile, dai testicoli, alle vescicole seminali, alla prostata.

Il sangue nello sperma può essere associato a:

Più raramente, la presenza di sangue nello sperma è conseguenza di:

  • tumore alla prostata;
  • Tumori delle vescichette seminali o dei testicoli;
  • ostruzione o traumi in ogni parte del sistema riproduttivo

La presenza di sangue dello sperma associata a dolore a livello uretrale può dipendere da malattia trasmissibili sessualmente, come Chlamydia, Herpes genitale, Gonorrea.

Il sangue nello sperma può verificarsi comunemente in seguito all’esecuzione di una biopsia prostatica, per poi sparire entro qualche giorno.

Quando devo preoccuparmi?

Anche se si tratta di un evento isolato, il sangue nello sperma deve essere considerato come un campanello d’allarme per un confronto con il proprio medico e poi eventualmente con uno specialista per risalire alle possibili cause.

E’ bene non indugiare nel consultare un medico soprattutto quando il sangue nello sperma si riscontra per diverse settimane e soprattutto se si avverte dolore alle vie urinarie.

Solitamente nei soggetti con età inferiore ai 40 anni si tratta principalmente di infezioni urogenitali che possono essere trattate adeguatamente se correttamente diagnosticate.