Nello stesso momento in cui un uomo riceve la notizia di avere un tumore alla prostata deve anche avere la forza di pensare in maniera più lucida possibile a quale terapia voglia scegliere.

Purtroppo scoprire di avere un tumore è un evento sconvolgente che può portare il paziente a scegliere il proprio trattamento in maniera affrettata, per poi pentirsene.

Da uno studio che ha esaminato le esperienze di 2.072 uomini a cui è stato diagnosticato un tumore alla prostata è stato scoperto che più di uno su 10 non era soddisfatto del trattamento scelto.

Quasi la metà di loro aveva tumori a crescita lenta con un basso rischio di recidiva o diffusione dopo il trattamento. Il resto era in categorie a rischio intermedio o superiore.

Tutti gli uomini sono stati trattati in uno dei tre diversi modi: intervento chirurgico per rimuovere la prostata (prostatectomia radicale); radioterapia; o sorveglianza attiva, che comporta il monitoraggio dei tumori della prostata con controlli e imaging di routine del PSA e il trattamento solo quando o se il cancro progredisce.

Più della metà degli uomini ha scelto un intervento chirurgico indipendentemente dal rischio di cancro al momento della diagnosi. La maggior parte degli altri ha scelto le radiazioni e circa il 13% degli uomini, la maggior parte in categorie a rischio basso o intermedio, ha scelto la sorveglianza attiva.

A distanza di 5 anni dalla terapia il 13% dei pazienti ha dichiarato di rimpiangere la scelta fatta.

Gli uomini trattati chirurgicamente erano quelli più insoddisfatti della loro decisione. In particolare, molti dei pazienti con un tumore a rischio basso o intermedio a cui era stata asportata la prostata hanno dichiarato che se potessero tornare indietro opterebbero per la soveglianza attiva.

Al contrario, gli uomini con tumori aggressivi sottoposti a prostatectomia non si sono pentiti di essere stati curati immediatamente.

Lo studio è stato condotto dal Dr. Christopher Wallis, un oncologo urologico presso il Mount Sinai Hospital di Toronto, in Canada. Wallis e il suo team non hanno esplorato quali specifici esiti o complicazioni della malattia hanno portato ai rimpianti associati a particolari trattamenti.

La disfunzione erettile è risultata la ragione principale dei rimpianti dei pazienti.

La scoperta chiave dello studio, secondo gli investigatori, è stata che i rimpianti derivano dalle discrepanze tra ciò che gli uomini si aspettano da un particolare approccio e le loro esperienze reali nel tempo.

A questo proposito una migliore consulenza terapeutica, un colloquio più chiaro ed esaustivo al momento della diagnosi può aiutare a ridurre al minimo la probabilità di rimpianti in seguito.

Questa comunicazione dovrebbe considerare i valori personali del paziente, sottolineare il processo decisionale condiviso tra pazienti e medici e mirare alla “comprensione delle aspettative realistiche e degli effetti avversi possibili durante il trattamento”.

Questo studio sottolinea l’importanza di non precipitarsi in una decisione e di comprendere appieno pro e contro di ogni terapia, possibili effetti collaterali e cosa ci si può aspettare.

Troppo spesso i pazienti reagiscono alla notizia di avere un tumore alla prostata con un “voglio occuparmene il prima possibile”.

Ma con il tumore alla prostata, i pazienti devono avere il tempo di capire la posta in gioco.

A questo proposito è di importanza chiave una corretta informazione ed il confronto con altri uomini, nello specifico con associazioni di pazienti.

Un recente studio ha evidenziato che il farmaco abiraterone è in grado di dimezzare il rischio di morte per tumore alla prostata in pazienti in cui la malattia non ha ancora generato delle metastasi.

Attualmente, l’abiraterone è un farmaco approvato solo per gli uomini con cancro alla prostata che si sta diffondendo (metastatizzando) nel corpo. Ma gli uomini arruolati nello studio sono stati trattati nelle fasi iniziali, prima che i loro tumori avessero la possibilità di diffondersi.

Sulla base dei risultati, i ricercatori hanno concluso che l’abiraterone dovrebbe essere preso in considerazione per il trattamento del tumore alla prostata aggressivo che non ha ancora iniziato a diffondersi ad altri siti, ma probabilmente lo farà in futuro.

L’abiraterone è stato approvato per la prima volta nel 2011, in particolare per il tumore alla prostata metastatico che non risponde più alla chemioterapia o ai farmaci che bloccano il testosterone (un ormone che alimenta la crescita del tumore alla prostata).

I trattamenti che bloccano la produzione di testosterone nei testicoli e in altre ghiandole sono chiamati terapie di deprivazione degli androgeni o ADT. Tuttavia, alcuni tumori aggirano l’ADT producendo il proprio testosterone, ed è qui che entra in gioco l’abiraterone: impedisce alle cellule tumorali di produrre l’ormone.

I medici somministrano solitamente l’abiraterone insieme al prednisolone, uno steroide che riduce gli effetti collaterali del trattamento. Più recentemente, l’approvazione dell’abiraterone è stata estesa agli uomini che ancora rispondono all’ADT o non sono stati ancora trattati con chemioterapia.

Durante lo studio appena pubblicato, chiamato STAMPEDE, i ricercatori hanno arruolato 1.974 uomini con tumore ad alto rischio che era ancora confinato alla prostata e ai linfonodi vicini. Lo studio clinico STAMPEDE sta testando molteplici trattamenti per il cancro alla prostata avanzato e questo particolare studio è stato uno dei tanti condotti come parte di questo sforzo più ampio.

Gli uomini in questo caso avevano in media 68 anni e ciascuno di loro era assegnato a uno dei tre diversi gruppi:

  • ADT da solo (il gruppo di controllo, che comprendeva 988 uomini)
  • ADT in combinazione con abiraterone e prednisolone (459 uomini)
  • ADT in combinazione con abiraterone, prednisolone e un altro farmaco chiamato enzalutamide, simile all’abiraterone (527 uomini).

L’ADT nel gruppo di controllo è durato tre anni, mentre la maggior parte degli uomini che hanno ricevuto terapie combinate è stata sottoposta a due anni di trattamento.

Dopo sei anni di follow-up, il 7% dei 986 uomini che hanno ricevuto abiraterone come parte del loro trattamento era morto di tumore alla prostata. Al contrario, il 15% dei 988 uomini trattati con ADT da solo sono morti per tumore alla prostata.

Sulla base di questi risultati, i ricercatori hanno concluso che i pazienti trattati con la terapia combinata (che include abiraterone) hanno maggiori probabilità di vivere più a lungo e morire per un’altra causa.

Gli effetti collaterali erano più comuni tra gli uomini trattati con abiraterone e includevano ipertensione e aumento degli enzimi epatici. L’aggiunta di enzalutamide non ha avuto ulteriori benefici terapeutici, rendendo l’uso di quel farmaco tra i pazienti con cancro non metastatico ingiustificato a causa della tossicità e dei costi aggiuntivi.

Questo importante studio si aggiunge alle notizie straordinariamente incoraggianti riguardanti i progressi nel trattamento delle forme avanzate e metastatiche del tumore alla prostata.

La somministrazione di abiraterone insieme al prednisolone è ora un pilastro nella gestione degli uomini con tumore alla prostata che si è diffuso oltre i confini della ghiandola prostatica e dei linfonodi. Questo nuovo studio mostra che l’aggiunta di abiraterone più prednisolone all’ADT tradizionale può avvantaggiare gli uomini che non hanno ancora sviluppato una malattia metastatica, ma è probabile che lo facciano in futuro.

Il test del PSA è un test di ruotine che gli uomini eseguono nel percorso di prevenzione del tumore della prostata.

Non si tratta tuttavia di un esame di screening ideale, perché la quantità nel sangue può aumentare anche in presenza di patologie benigne, come l’ipertrofia prostatica benigna (ingrandimento della prostata) e la prostatite (infiammazione).

Il test del PSA non è infatti un esame che serve ad individuare un tumore, ma è bensì un indice della salute della prostata.

Attraverso un’analisi di laboratorio più approfondita è possibile distinguere nel sangue due diverse forme di PSA:

  • una forma libera (PSA free), cioè non legata ad altre proteine,
  • una forma legata a specifiche proteine

La somma della quantità di queste due forme dà come risultato il valore di PSA totale (il test del PSA standard). 

L’utilità di misurare separatamente il PSA free nasce dall’osservazione per cui in condizioni benigne, come l’ipertrofia prostatica, aumenta prevalentemente la quota libera, mentre il tumore alla prostata causa soprattutto un aumento del PSA legato alle proteine.

Dato che il valore basale del PSA è molto soggettivo e può cambiare molto da uomo a uomo si procede calcolando il rapporto (o ratio) tra frazione libera e frazione totale, per poi riportare il risultato in forma percentuale.

BISOGNA SEMPRE MISURARE PSA TOTALE E PSA FREE?

Misurare il PSA free può in alcuni casi selezionati essere d’aiuto per il medico a sostenere o meno un sospetto di tumore alla prostata, ma sempre unitamente ad altri parametri, mai da solo.

Nei casi in cui il PSA totale sia inferiore a 4 ng/ml di sangue, misurare il PSA free è assolutamente irrilevante a sciogliere il quesito diagnostico e quindi non viene preso in considerazione.

Il PSA free non sembra utile neanche nei pazienti con PSA maggiore di 10 ng/ml, in cui la risonanza magnetica è già molto informativa.

Quando il PSA totale è compreso tra 4 e 10 ng/ml, una ratio (rapporto PSA libero/PSA totale) inferiore od uguale al 10% indica che la probabilità di avere un tumore alla prostata varia dal 49% al 65%, in base all’età.

Al contrario, se la ratio è superiore al 25% il rischio di cancro è inferiore al 16%.