Gli screening per tumore alla prostata, al seno e del colon-retto sono diminuiti drasticamente durante i primi mesi della pandemia COVID-19, determinando un deficit assoluto per il 2020 rispetto al 2019.

Uno studio pubblicato su JAMA Oncology ha esaminato negli Stati Uniti i dati sugli screening del cancro al seno, alla prostata e al colon-retto di 60 milioni di persone con copertura assicurativa.

I ricercatori hanno scoperto che si sono verificati cali significativi per tutti e tre i tipi di screening per il cancro tra marzo e maggio del 2020, rispetto allo stesso periodo di tempo nel 2019.

In particolare è stato visto che i tassi di screening del cancro al seno sono scesi del 91% , mentre quelli per il cancro del colon-retto e gli screening per il cancro alla prostata sono diminuiti rispettivamente del 79% e del 63%.

Una diagnosi su due persa dall’inizio della pandemia, con potenziali, gravissime ricadute sull’incremento di nuovi casi in stadi più avanzati della malattia nei prossimi anni.

Il COVID-19 ha reso ancora più difficile l’esistenza degli oltre 564.000 uomini che in Italia vivono con un tumore alla prostata. Per il 71% dei pazienti il Coronavirus è fonte di forte preoccupazione, mentre il 37% è convito di essere più esposto al contagio a causa dei trattamenti anti-tumorali.

Quattro malati su dieci hanno evitato di andare in ospedale durante i mesi più difficili del lockdown (marzo-maggio 2020), rinviando così cure e visite. E sette malati su dieci auspicano di poter assumere terapie trimestrali o semestrali, per poter così ridurre gli accessi alle strutture sanitarie.  

È quanto emerge da un sondaggio svolto su oltre 500 pazienti e presentato oggi in una conferenza stampa virtuale. L’indagine rientra nel progetto educazionale, promosso dalla Fondazione PRO, Gestione del paziente con carcinoma della prostata in era COVID-19.

L’obiettivo è creare maggiore consapevolezza sul cancro della prostata e al contempo dare consigli pratici ai pazienti, in un periodo in cui occuparsi della propria salute non è facile, se si vuole coniugare sicurezza e continuità di cura.

Spesso non è tanto una diagnosi di tumore alla prostata a spaventare un uomo, quanto la paura delle conseguenze di una terapia.

Dopo un intervento di prostatectomia radicale, per esempio, impotenza e incontinenza urinaria sono effetti collaterali più o meno comuni.

L’incontinenza, però, è nella maggior parte dei casi un problema transitorio che scompare del tutto, grazie anche alla riabilitazione.

L’incontinenza ha un forte impatto negativo sulla qualità della vita dell’uomo che dovendo ricorrere all’utilizzo di assorbenti si vede obbligato a modificare la propria socialità.

La riabilitazione del pavimento pelvico è mirata proprio a rafforzare l’azione della vescica, responsabile del contenimento urinario che diventa più difficile per gli uomini a cui la prostata viene asportata chirurgicamente.

La riabilitazione ha l’obiettivo di migliorare i meccanismi che compensano la perdita di attività da parte di quei muscoli che chiudono il canale che porta l’urina dalla vescica verso l’esterno, ovvero dei muscoli pelvici.

Il Fisiatra è lo specialista di riferimento e può programmare il trattamento riabilitativo più adeguato, indirizzando il paziente in un centro specializzato dove imparerà a conoscere questi muscoli e a rafforzarli con esercizi corretti di fisioterapia. Per questo è importante iniziare il prima possibile e che almeno la fase iniziale venga opportunamente seguita.

Questo tipo di esercizi punta a migliorare e rafforzare questa zona, affinché la contrazione del perineo sia in grado di bloccare il passaggio dell’urina.

La ginnastica perineale è consigliata anche agli uomini trattati soltanto con la radioterapia, ma in questo caso i benefici possono essere minori in ragione di un danno indotto dalle radiazioni al tessuto muscolare: meno sensibile e vascolarizzato. 

La riabilitazione può essere abbinata all’attività sportiva. Vanno benissimo il nuoto o una camminata, all’aperto o sul tapis roulant. Per la corsa sostenuta e le passeggiate in bicicletta, invece, è meglio aspettare un paio di mesi. Vale comunque sempre un consiglio: nel momento in cui l’attività fisica comporta una perdita di urina, non va ripetuta fino a un’avvenuta guarigione.

approfondimenti: https://www.pelvicrehabilitation.com/