Per gli uomini che soffrono di calvizie precoce un controllo alla prostata è d’obbligo.

Una ricerca spagnola pubblicata sulla rivista Journal of the American Academy of Dermatology ha evidenziato una relazione tra l’alopecia androgenetica, la più comune forma di calvizie, e l’iperplasia benigna alla prostata.

In questo studio che ha coinvolto 45 uomini affetti da alopecia androgenetica i ricercatori hanno scoperto che sia la calvizie che l’iperplasia prostatica benigna sono entrambe causate da una produzione eccessiva di diidrotestosterone (DHT), un ormone che si forma dalla trasformazione del testosterone ad opera dell’enzima 5 alfa-reduttasi nella prostata, nei testisoli, nei follicoli dei capelli e nelle ghiandole surrenali.

Il DHT infatti è un metabolita attivo ed è l’ormone androgeno più potente dell’organismo, con un attività superiore al testosterone di ben 4-5 volte e risulta essere importantissimo per la regolazione delle funzioni del nostro corpo.

Il DHT è responsabile della formazione dei caratteri di genere maschili, come la crescita dei peli sulla faccia e sul corpo, e della profondità della voce. Il DHT può essere inattivato nel muscolo scheletrico per azione della 3-alfa idrossisteroide deidrogenasi e pertanto non ha effetto significativo sull’ipertrofia muscolare.

Gli ormoni androgeni come il DHT sono responsabili delle caratteristiche come ad esempio il tono più o meno profondo della voce, del potenziamento della massa muscolare, della quantità di peli nel corpo e, non da meno, durante la crescita del feto, il DHT assume un ruolo cruciale nello sviluppo della ghiandola prostatica e del pene.

Il DHT è uno dei fattori primari della calvizie nei maschi, in quanto il DHT si lega al bulbo pilifero del capello, atrofizzandolo. Le femmine con elevati livelli di DHT possono sviluppare alcuni caratteri sessuali secondari maschili, incluso un approfondimento della voce e la crescita di peli sulla faccia e sul corpo. Sembra anche che il DHT giochi un ruolo nello sviluppo o nell’evoluzione dell’iperplasia prostatica benigna e del tumore alla prostata, anche se la ragione precisa di ciò è ancora ignota.

Si sa anche che il DHT partecipa allo sviluppo dell’acne.

I farmaci appartenenti al gruppo noto come inibitori della 5-alfa-reduttasi sono usati per i problemi dovuti al DHT. Questo gruppo include la finasteride e dutasteride.

Trattamenti alternativi per inibire il DHT includono integratori dietetici, o preparazioni somministrate topicamente, a base di estratti della bacca della serenoa repens. Diversamente dai più conosciuti inibitori della 5-alfa-reduttasi, la serenoa induce i suoi effetti senza interferire con la capacità da parte delle cellule di secernere PSA. L’estratto di serenoa è in grado di inibire entrambe le isoforme della 5-alfa-reduttasi, a differenza della finasteride che inibisce solo l’isoenzima (predominante) 2 della 5-alfa-reduttasi.

La finasteride è un farmaco utilizzato per il trattamento degli stati precoci di alopecia androgenetica, negli uomini tra i 18 e i 41 anni, e per il trattamento e il controllo della iperplasia prostatica benigna. Tecnicamente, il medicinale è un inibitore dell’enzima 5-alfa reduttasi di tipo II, che ha la funzione di convertire il testosterone in diidrotestosterone (DHT), un androgeno che è responsabile dello sviluppo dei genitali maschili, dei caratteri sessuali secondari (la crescita dei peli, l’abbassamento del tono della voce, ecc.) e dello stimolo sessuale. La finasteride, inibendo tale enzima e impedendo la trasformazione del testosterone, riduce i livelli di DHT.

Purtroppo, un numero crescente di studi dimostra che, in alcuni casi, la finasteride induce gravi effetti avversi, che possono persistere dopo l’interruzione del trattamento ed essere persino irreversibili.

Nonostante le evidenze per altri tipi di patologie, sia l’American Cancer Society sia la Prostate Cancer Foundation non indicano l’alcol tra i fattori di rischio noti per il tumore alla prostata. Non è neanche chiaro se l’assunzione di alcol sia associata al rischio di sviluppare una forma di tumore alla prostata aggressivo (es metastatico).

Da una revisione sistematica pubblicata nel 2016 sembrava emergere che gli uomini che consumano alcolici potrebbero avere un rischio maggiore di sviluppare la malattia rispetto a quelli che si astengono, con il rischio che aumenta proporzionalmente all’assunzione di alcol. E’ tuttavia da sottolineare che lo studio si basa su autodichiarazioni sul proprio consumo di alcol, che potrebbero quindi non essere completamente affidabili.

I risultati di uno studio pubblicato nel 2018 suggeriscono un possibile legame tra il consumo di alcol in giovane età e il rischio di sviluppare un tumore alla prostata nell’arco della vita. Anche questo studio, seppure fornisca dati molto importanti, presenta alcuni limiti, come ad esempio la dipendenza da informazioni auto-riportate, che potrebbero essere soggette a errore. Inoltre, a questo si aggiunge che i forti bevitori all’interno dello studio erano spesso anche forti fumatori e che chi ha dichiarato di aver consumato molto alcol precocemente nella vita in genere ha continuato a bere in seguito.

Per cercare una risposta a questo quesito un gruppo di ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health, del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston, e della University of California di San Francisco ha indagato se l’assunzione di alcol tra gli uomini a rischio di tumore alla prostata fosse associata alla diagnosi di una malattia aggressiva e se il consumo di alcol tra gli uomini con tumore prostatico non metastatico fosse associata allo sviluppo di metastasi e ad un aumento della mortalità.

In questo studio prospettico sono stati coinvolti 47.568 uomini che non avevano mai ricevuto una diagnosi di tumore alla prostata senza una diagnosi di cancro, monitorati dal 1986 al 2012 dallo Health Professionals Follow-Up Study.

Di questi uomini, 5.182 hanno ricevuto durante la durata dello studio una diagnosi di tumore prostatico non metastatico durante il follow-up e su di loro è stata esaminata l’associazione tra l’aggressività della malattia e la mortalità con il consumo di alcol in generale, consumo di vino rosso e bianco, birra e liquore.

E’ emerso che gli uomini bevitori avevano un rischio di sviluppare un tumore alla prostata mortale leggermente inferiore rispetto agli astemi.

In particolare il rischio più basso di morte per tumore alla prostata è stato osservato negli uomini che consumavano una quantità di alcol totale tra 15 e 30 g/die, principalmente tramite l’assunzione di vino.

Ma qualsiasi vino fa bene contro il tumore alla prostata?

C’è vino e vino. E noi italiani lo sappiamo bene.

Partendo da queste evidenze sono stati condotti ulteriori studi per cercare di determinare se effettivamente il consumo di vino avesse un ruolo protettivo contro la progressione di un tumore alla prostata, ma soprattutto per cercare di capire se una qualità di vino avesse più benefici di altre.

Una meta-analisi ha curiosamente osservato come il consumo moderato di vino rosso fosse associato ad un minore rischio di sviluppare un tumore alla prostata, mentre il consumo moderato di vino bianco, al contrario, avesse l’effetto opposto.

Ma perché il vino rosso?

Non c’è una risposta chiara, ma gran parte dei “sospetti” si concentrano su alcune sostanze chimiche assenti in altre bevande alcoliche, come vari flavonoidi e il resveratrolo. Questi componenti hanno proprietà antiossidanti e alcuni sembrano controbilanciare gli androgeni, gli ormoni maschili che stimolano la crescita del tumore alla prostata.

Da alcuni esperimenti di laboratorio, i flavonoidi riducono la produzione di PSA da parte delle cellule di tumore alla prostata, suggerendo una diminuzione dell’attività cellulare, e il resveratrolo smorza l’attività dei geni che promuovono la crescita cellulare e in alcuni casi induce la morte delle cellule tumorali.

Prima di arrivare a conclusioni affrettate, va detto che servono ulteriori ricerche per determinare con certezza la correlazione tra consumo di alcol e lo sviluppo di tumore alla prostata, ma ciò che si può evincere è che per le persone affette da questa patologia bere con moderazione è generalmente sicuro.

Bisogna comunque ricordare che l’alcol può interagire con alcuni farmaci quindi è sempre meglio consultare un medico per verificare che bere alcolici non sia dannoso.

Più in generale, è bene però sottolineare come mettere in conto alcuni cambiamenti nello stile di vita possa aiutare una persona a vivere bene durante le terapie per il tumore alla prostata. Questi cambiamenti possono includere l’aumentare l’attività fisica e il seguire una dieta salutare.

Alcuni grandi ospedali in Italia stanno seguendo la scia di quello che già da tempo avviene all’estero e si stanno dotando delle cosiddette Prostate Cancer Unit: si tratta di team di specialisti con diverse competenze nella gestione del tumore alla prostata, che lavorano in sinergia per curare il paziente, analizzano e monitorando la malattia da diversi punti di vista e a diversi livelli, fornendo in un unico centro tutto quello che potrebbe servire al percorso diagnostico e terapeutico, dalla consulenza al supporto psicologico, dalla prevenzione alla diagnosi, dalla gestione delle terapie alla riabilitazione.

Questa soluzione offre al paziente le migliori opportunità di ricevere le cure più appropriate e trattamenti di eccellenza. Inoltre, la collaborazione di diverse figure cliniche nella gestione della patologia diventa funzionale alla prevenzione e soluzione delle principali complicanze che potrebbero verificarsi, siano esse fisiche, emotive o psicologiche.

La Prostate Cancer Unit diventa così un punto di riferimento unico e centrale per il paziente, migliorando anche la sua esperienza di cura, che verrà modulata sulla base delle sue necessità individuali.
Per funzionare in maniera ottimale, questi team devono essere strutturati e organizzati con precisione e rappresentare il luogo in cui diversi specialisti della stessa patologia lavorino in sinergia, condividendo professionalità, procedure cliniche e pratiche di successo, consultandosi tra loro e fornendo assistenza al paziente a 360°.

La Prostate Cancer Unit dovrebbe essere coordinata da un Direttore clinico, a cui risponderanno tutti i clinici del team.
Il gruppo principale della Unit dovrebbe comprendere:

  • Uropatologi, responsabili della gestione della patologia;
  • Urologi, specializzati nella diagnosi della malattia e nel suo trattamento;
  • Oncologi Radioterapisti, esperti di radioterapia del tumore alla prostata;
  • Oncologi Medici con specializzazione in malattie della prostata;
  • Infermieri preparati nell’assistenza al paziente in ogni fase della malattia.

Questo nucleo medico verrà sostenuto da un secondo gruppo di professionisti a supporto, non specializzati nel tumore alla prostata, ma comunque indispensabili per fornire un servizio completo ed efficiente:

  • Radiologi, esperti nell’utilizzo delle varie tecnologie radiologiche;
  • Fisici medici, specializzati in radioterapia esterna e brachiterapia;
  • Tecnologi per la radioterapia;
  • Fisioterapisti, che supportino il paziente nella riabilitazione e riducano l’impatto delle complicazioni postoperatorie;
  • Specialisti in cure palliative;
  • Psicologi, per aiutare il paziente nella gestione delle emozioni dopo la diagnosi di tumore e per offrirgli consigli, ascolto e seguirlo nel percorso terapeutico;
  • Andrologi e Sessuologi, per fornire assistenza e consulenza nell’ambito delle funzioni sessuali;
  • Geriatri, specializzati nella cura delle persone anziane;
  • Associazioni di pazienti, per aiutare i malati e informarli sui loro diritti.

Una simile organizzazione è in grado di offrire una vasta gamma di servizi al paziente, e, soprattutto, contribuisce a creare un maggiore dialogo tra professionisti diversi, che possono così collaborare in modo più costruttivo per raggiungere obiettivi comuni.

Istituire una Prostate Cancer Unit spesso richiede un complessa pianificazione e riorganizzazione dei servizi per ospedali e centri di cura, ma, nello stesso tempo, garantisce una maggiore focalizzazione sulla patologia specifica, favorisce il lavoro di squadra, riduce i tempi necessari per la gestione (il paziente viene seguito contemporaneamente da più specialisti e non deve ricorrere a diversi consulti medici), semplifica e snellisce il percorso di cura. Tutto ciò gioverebbe non solo al paziente, ma anche alle strutture cliniche.

Tra l’altro, il fatto di poter consultare contemporaneamente diversi specialisti garantirebbe al paziente una maggiore consapevolezza delle diverse opzioni terapeutiche e una maggiore conoscenza della patologia.

La possibilità di parlare con professionisti molto diversi tra loro per formazione e per carattere faciliterebbe, inoltre, il dialogo e la propensione del malato a riferire le proprie ansie, i propri disturbi e gli effetti collaterali dei vari trattamenti, soprattutto nel caso del cancro alla prostata, che coinvolge anche dimensioni molto private come la sessualità, di cui molto spesso i pazienti rifiutano di parlare apertamente.

Che si tratti di un approccio monodisciplinare piuttosto che multidisciplinare alla cura di questa patologia, è fondamentale che il percorso di cura venga tarato sulle esigenze del singolo paziente e che egli sia informato sulle diverse opzioni a sua disposizione e possa sentirsi libero di consultare lo specialista per scegliere consapevolmente a quali trattamenti sottoporsi.

Per avere più informazioni riguardo alle Prostate Cancer Units in Europa: https://www.prostatecancerunits.org/

Una malattia che si chiama tumore ha sempre un effetto traumatico; quando poi si tratta di una diagnosi di tumore alla prostata non si parla più solo di una malattia del corpo, ma colpisce l’uomo nella sua identità maschile più intima.

La persona si trova a dover affrontare da un lato la malattia e la scelta dei trattamenti più idonei da un punto di vista medico e dall’altro a dovere gestire le conseguenze che questi provocano in diversi aspetti: quello della percezione di sé sia dal un punto di vista psicologico che fisico e nella vita di coppia, e quello sociale e relazionale.

Questo è dovuto alle difficoltà emotive che accompagnano gli effetti collaterali di alcuni trattamenti, come i disturbi della sfera sessuale, l’incontinenza o una femminilizzazione del corpo dovuta alla terapia ormonale. E a volte si aggiunge anche la sensazione di non essere più adeguati e di sentirsi invecchiati di colpo.

Curare il tumore alla prostata significa prendersi cura della persona a tutto tondo, aiutarla e sostenerla nel percorso di cura e questo è possibile grazie al lavoro di un team multidisciplinare con diverse figure specialistiche: medico oncologo, radiologo, chirurgo, urologo e psico-oncologo.

Le opzioni di trattamento sono diverse: chirurgia, ormonoterapia, radioterapia e chemioterapia. Anche la “Sorveglianza attiva” è un’ipotesi, e consiste nel monitorare la malattia con un programma molto preciso di visite ed esami, inclusa la biopsia, e senza dover assumere farmaci specifici o essere sottoposti a un intervento. Questa strategia viene presa in considerazione solo in alcune forme di cancro poco aggressive che tendono a rimanere indolenti. Ma, se da un lato non causa i problemi fisici dati dalle terapie, la malattia stessa può comunque avere un effetto psicologico impattante sul paziente. Anche nel caso della “Sorveglianza attiva”, si deve sopportare il peso degli effetti psicologici della “convivenza” con un tumore, con il conseguente possibile stato di ansia e stress.

Lo specialista valuta l’obiettivo di salute e considera a parità di efficacia le terapie possibili e con il paziente si devono razionalmente considerare i costi e i benefici degli effetti che la terapia porta con sé. L’assunzione di responsabilità, dover scegliere la propria terapia, crea disorientamento, non è sicuramente una scelta facile, e idealmente si vorrebbe che il medico decidesse cosa si deve fare. Eppure arrivare a una scelta consapevole e condivisa con il paziente è garanzia di un maggior adattamento all’esperienza di malattia.

Quando la terapia incide sulla funzione sessuale e sulla funzionalità erettile viene messa in discussione la sfera più intima maschile, la virilità della persona e l’essere uomo nella parte più profonda di sé. La potenza maschile viene vissuta anche attraverso la possibilità di avere un’erezione, quando non si realizza provoca un impatto sull’uomo e sull’essere riconosciuto come tale. All’interno della coppia la figura dell’uomo viene messa in discussione, e spesso per evitare di mettere in difficoltà il partner si finisce per non avere rapporti, con il conseguente allontanamento dal proprio partner.

Esistono presidi farmacologici che possono aiutare, ma la riabilitazione sessuologica più efficace deve tener conto sia dell’impatto fisico che dell’impatto psicologico e offrire alla persona e alla coppia ove esiste, la possibilità di fare un percorso che aiuti a ricostruire un senso di sé efficace e una buona intimità di coppia.

Il percorso per far fronte al cambiamento e per riappropriarsi delle proprie abitudini è possibile, ma serve tempo, capacità di adattamento e comunicazione con il partner.

referenza: https://www.nature.com/articles/pcan201166

Ti è mai capitato di accusare un dolore o una sensazione strana da qualche parte nel corpo? E ti è capitato di andare subito su Google a cercare una possibile spiegazione? Probabilmente sì! Diverse indagini hanno rilevato che circa il 40% degli italiani cerca informazioni riguardo alla salute su internet in maniera costante (fonti: Censis, GFK Eurisko).

Come sappiamo tutte le ricerche che facciamo sul web sono in qualche modo registrate e dall’analisi di tutte le ricerche fatte da tutti i naviganti si ottengono gli ormai noti argomenti “trend”.

Nell’ultimo decennio sono stati pubblicati diversi studi scientifici a sostegno del fatto che l’analisi dei Google Trends potrebbe essere uno strumento affidabile per fornire stime della diffusione di molte malattie, come un modello di predizione dei picchi influenzali (fonte) o delle epidemie del virus Zika (fonte) o Dengue (fonte). Accanto alle malattie infettive, l’accuratezza dell’analisi dei Google Trends sembra essere in grado di fornire anche informazioni accurate sull’incidenza e sulla mortalità di alcune forme di cancro.

In un primo studio pubblicato nel 2017 sulla rivista JAMA Dermatology, i ricercatori si erano chiesti se negli Stati Uniti il numero di ricerche fatte su Internet riguardo ad una determinata malattia oncologica è correlato con i tassi di incidenza e mortalità.

Quello che hanno scoperto è stato sorprendente: per alcuni tipi di tumore, in particolar modo per tumore del colon e tumore al polmone, il volume di ricerca relativo di Google era correlato (in maniera statisticamente significativa) con i tassi di incidenza e mortalità.

Questi dati, confermati anche da un altro studio pubblicato su Annals of Translational Medicine, aprono ad un interessante possibilità per il futuro.

Esattamente come la ricerca on-line di un viaggio o di un libro attiva dei meccanismi che ci suggeriscono altri prodotti che potrebbero interessarci, scrivere su Google “devo urinare di frequente” potrebbe far apparire un messaggio con scritto: “Attenzione! Potresti avere problemi alla prostata. Contatta immediatamente il tuo medico.

“Dottore, cosa posso fare per prevenire il tumore alla prostata?”.
Questa è una delle domande più comuni che i medici sentono dagli uomini preoccupati per la salute della prostata.

Purtroppo non esiste niente che possa garantire di non sviluppare con sicurezza una malattia. C’è sempre una probabilità di rischio, che però può essere ridotta con qualche semplice accortezza sul nostro stile di vita.

Adotta uno schema alimentare sano

Invece di concentrarsi su cibi specifici, dietisti, medici e ricercatori pubblicizzano un modello generale di alimentazione sana e mangiare sano è più facile di quanto si possa pensare.

In poche parole, ecco cosa consigliano gli esperti:

  1. Mangia almeno cinque porzioni di frutta e verdura ogni giorno. Scegli quelli con colori intensi e luminosi.
  2. Scegli pane integrale al posto del pane bianco e scegli pasta integrale e cereali.
  3. Limita il consumo di carne rossa, inclusi manzo, maiale, agnello e capra, e carni lavorate, come mortadella e wurstel. Pesce, pollame, fagioli e uova sono fonti di proteine ​​più sane.
  4. Scegli grassi salutari, come olio d’oliva, frutta secca (mandorle, noci) e avocado. Limita i grassi saturi dei latticini e di altri prodotti animali. Evita i grassi parzialmente idrogenati (grassi trans), che si trovano in molti fast food e cibi confezionati.
  5. Limita le bevande zuccherate, come le bibite e molti succhi di frutta.
  6. Riduci il sale. Scegli cibi a basso contenuto di sodio leggendo e confrontando le etichette degli alimenti. Limita l’uso di cibi in scatola, lavorati e congelati.
  7. Guarda le dimensioni delle porzioni. Mangia lentamente e smetti di mangiare quando sei pieno.

Rimani attivo e mantieni la prostata in salute

Oltre a seguire una dieta sana, dovresti rimanere attivo. L’esercizio fisico regolare riduce il rischio di sviluppare alcuni problemi gravi, tra cui malattie cardiache, ictus e alcuni tipi di tumore. E sebbene relativamente pochi studi abbiano valutato direttamente l’impatto dell’esercizio fisico sulla salute della prostata, quelli che sono stati effettuati hanno concluso che l’esercizio è benefico. Per esempio:

  • Sulla base dei questionari dello studio Health Professionals Follow-up Study, sponsorizzato dall’Università di Harvard, compilati da oltre 30.000 uomini è emersa una relazione inversa tra attività fisica e sintomi di iperplasia prostatica benigna (IPB). In poche parole, gli uomini che erano più attivi fisicamente avevano meno probabilità di soffrire di IPB. Anche l’attività fisica di intensità da bassa a moderata, come camminare regolarmente a un ritmo moderato, ha prodotto benefici.
  • Dallo stesso studio è stata osservata una correlazione tra disfunzione erettile ed esercizio fisico. Hanno scoperto che gli uomini che correvano almeno per un’ora e mezza o che facevano tre ore di sport all’aperto alla settimana avevano il 20% in meno di probabilità di avere problemi di erezione rispetto a quelli che non si allenavano affatto. E più aumentava la quantità di attività fisica, più diminuiva il rischio. È interessante notare che, indipendentemente dal livello di esercizio, gli uomini in sovrappeso o obesi avevano un rischio maggiore di disfunzione erettile rispetto agli uomini con un indice di massa corporea ideale.
  • Una ricerca italiana ha reclutato 231 uomini sedentari con prostatite cronica e li ha divisi in due programmi di esercizio per 18 settimane: esercizio aerobico, che includeva camminata veloce, o esercizio non aerobico, che includeva sollevamento delle gambe, addominali e stretching. Ogni gruppo si esercitava tre volte a settimana. Alla fine dello studio, gli uomini di entrambi i gruppi si sentivano meglio, ma quelli del gruppo di esercizi aerobici hanno sperimentato significativamente meno disagio, ansia e depressione e una migliore qualità della vita.

Da queste evidenze possiamo quindi dire che se vuoi mantenere in salute la prostata:

  1. Fai attività fisica, partendo con una intensità bassa, come camminare regolarmente a un ritmo moderato
  2. Cerca di aumentare gradualmente l’intensità della tua attività fisica. Ma senza strafare. ascolta il tuo corpo!
  3. Preferisci attività aerobica, come una camminata veloce o una corsa, ad attività non aerobica, come sollevamento gambe o addominali.

fonte: https://www.health.harvard.edu/mens-health/10-diet-and-exercise-tips-for-prostate-health